sabato 10 settembre 2011
COMMENTA E CONDIVIDI
Estranei a noi stessi. Come smarriti davanti allo specchio. Sconosciuti, talvolta. Perché oggi, all’interno del «disagio della cittadinanza», si fa strada, si avverte «un malessere più radicale», che «investe il senso stesso dell’appartenenza alla comunità e il significato che noi attribuiamo alla condizione di cittadini». In crisi ci va, così, l’intero complesso dei momenti connettivi della società,  e in particolare «il nesso costitutivo fra appartenenza e partecipazione». È così che Lorenzo Ornaghi, rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ha sintetizzato il tema della cittadinanza, ieri al centro della riflessione del XXV Congresso eucaristico in corso ad Ancona. I flussi migratori «che hanno attraversato e continuano ad attraversare le società occidentali – ha osservato Ornaghi – sono andati a investire, se non a travolgere, l’idea che il confine fra l’interno e l’esterno di ogni singola comunità politica sia sufficiente a definire il soggetto della cittadinanza, ossia chi effettivamente è il cittadino». E sotto questo profilo, secondo il relatore, il processo europeo, «se non bloccato, è oggi certamente in una fase di preoccupante rallentamento». Così «gli Stati sembrano riguadagnare terreno, mentre le istituzioni comunitarie, dinanzi alla pressione della crisi economica e alle richieste delle singole realtà nazionali, paiono perdere la loro autonomia d’azione e, forse, persino la loro legittimità». In tal modo «uno dei grandi quesiti irrisolti della costruzione comunitaria» è, dunque, il quesito riguardante la cittadinanza europea, visto appunto che «dentro le nostre società sembrano essere messe in discussione tutte le dimensioni della cittadinanza», in primo luogo per l’«insaziabile incremento di "diritti" e di "pretese"», che come effetto produce nei cittadini un alternarsi di «spoliticizzazione» e «politicizzazione». Del resto «troppo spesso il discorso pubblico sulla cittadinanza non è un discorso di responsabilità, di appartenenza, ma di riconoscimento dei diritti», come ha rilevato Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari. Quello che dunque è necessario è «restituire alla cittadinanza una vocazione alla responsabilità», compito tanto più urgente, oggi, di fronte «a una cultura che parla di cittadinanza come se fosse una liberazione da qualunque legame». Una prova di ciò, per Belletti, è quanto successo attorno alla manovra economica, dove «ciò che mi ha sconcertato è l’evidenza che dopo timidi accenni di responsabilità per il bene comune, in quasi tutti ha prevalso il corporativismo». Ma «tutti i beni comuni sono beni relazionali – ha ricordato Belletti – non può esserci una prospettiva individualistica di bene comune», e «il primo ambito che genera beni relazionali è la famiglia», oltre che «luogo insostituibile per generare persone felici e società giuste». «Le generazioni che hanno avuto il potere, compresa la nostra – ha concluso Belletti – si sono mangiate tutto, e oggi le famiglie hanno la grande responsabilità di esercitare una cittadinanza attiva, a cominciare dal compito di educare i propri figli». Per raggiungere tale obiettivo, c’è però bisogno di «riscoprire la responsabilità della "profondità" nella politica», che oggi «ha bisogno di uomini religiosi, che credono nella relazione, che sappiano costruire legami. Oggi il pericolo è l’uomo che basta a se stesso». E tanto più forte, e urgente, è risuonato l’invito «educhiamo, educhiamo! Accanto alla gente che diventa "importante" c’è sempre qualcuno che apre il cuore», lanciato alla platea del Cen da monsignor. Francesco Giovanni Brugnaro, arcivescovo di Camerino-San Severino Marche, che negli anni settanta era consigliere comunale e assessore a Padova. «Momenti difficili – ha ricordato –, tuttavia c’era passione per la città, fermento democratico».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: