lunedì 13 febbraio 2012
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Eminenze Autorità,Cari Amici
E’ con gioia che porto il saluto di S.E. il Card. Peter Erdo, Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, che non può essere presente tra noi. Il saluto cordiale è anche mio personale e di tutto il Consiglio che oggi ho l’onore di rappresentare. Il Simposio SECAM- CCEE rappresenta la Chiesa in Africa e in Europa, ed è un evento desiderato e preparato con cura, data l’importanza nel significare la comunione della Chiesa Cattolica nella sinfonia dei continenti e delle culture: pluralità che costituisce, nell’identità dell’ unica fede  e nella comunione affettiva ed effettiva con  il Successore di Pietro, un patrimonio e una ricchezza per tutti. E’ con questo spirito, ben noto alle nostre Chiese che, noi Vescovi dei due Continenti, continuiamo il cammino di dialogo, di conoscenza, di vicendevole stima, di fraterna collaborazione, perché il Vangelo della salvezza possa crescere nel cuore dell’uomo contemporaneo, di tutti gli uomini. Siamo grati al divino Maestro che ci guida e sostiene mentre, nei lavori di questi giorni, avremo nella mente e nel cuore i nostri Sacerdoti, le nostre comunità, i nostri Paesi.
1.             Com’è noto, il tema di questo incontro è la nuova evangelizzazione, consapevoli che – come spesso ha ricordato il Santo Padre Benedetto XVI – la questione più urgente oggi nella Chiesa è la questione della fede: non della fede di chi non ha ancora la fede, ma di chi ce l’ha! Il Papa sa che solo una fede convinta e gioiosa, coerente e operosa, può incendiare i cuori, purificare le culture, ispirare le società verso un umanesimo trascendente e plenario. E può preservare da quelle derive individualiste e nichiliste che inaridiscono ogni vivere personale e comunitario. La nuova evangelizzazione sta dunque al cuore delle preoccupazioni pastorali non solo del vecchio continente ma anche dell’Africa: come Pastori, sappiamo che il Vangelo è la vera sorgente e la garanzia migliore della vera promozione umana. Quando nell’uomo si affievolisce il senso di Dio, smarrisce anche il senso dell’uomo, e la società facilmente si costruisce contro l’uomo. Senza Dio, ricordava il Santo Padre,  l’uomo non sa più chi è e dove va, rimane sbandato perché senza il punto di riferimento ultimo e definitivo; la stessa radice fondativa e ultima dei valori morali viene ad essere fragile, e tutto sembra  diventare relativo ai bisogni immediati del soggetto, agli impulsi, ai calcoli. Ma dato che un quadro che regoli la convivenza è necessario se non si vuole stabilire la legge del più forte, allora ci si affida necessariamente alla logica della maggioranza, che molto può decidere della vita pubblica ma non il bene e il male, il vero e il falso, cioè i valori morali. Per altro non bisogna dimenticare che il danno più grave dell’assenza del fondamento ultimo e trascendente a cui ancorare l’istanza etica, riguarda prima che la società, l’individuo stesso: è lui, infatti, il primo a vivere smarrito, senza punti fermi e veri, mettendo in crisi la sua stessa natura – chi è lui – l’essenza dell’umano, la sua intrinseca dignità, Essa ha alla base quei valori primi e fondativi - come la vita sempre, la famiglia fondata sul matrimonio, la libertà religiosa ed educativa - che come tali non sono trattabili perché, senza,  l’etica sociale sarebbe costruita come sulle sabbie mobili.               L’Europa, in questa fase storica, si trova su questo crinale decisivo, e la Chiesa Cattolica - insieme alle altre chiese e comunità cristiane, insieme agli uomini di retto sentire - è chiamata a servire l’umanità innanzitutto con la profezia, cioè con quella parresia che è la verità di Dio e dell’uomo. E’, questa, una frontiera difficile, perché l’onda culturale dell’Europa è inquinata dallo scetticismo veritativo che sfocia nel nichilismo valoriale: l’uno e l’altro generano tristezza e  angoscia. Neppure il progresso materiale può arginare quell’aria di infelicità profonda, di mancanza di speranza nel futuro, che caratterizza la vera vecchiaia. Una grande convertita dal marxismo nel secolo scorso, Madeleine Delbrel, in forma incisiva scriveva che “la vera vecchiaia è quella dei nostri egoismi”.  L’Europa, dunque,  è nel suo nucleo più profondo triste e appiattita sul presente materiale: sembra decisa a combattere con la sua propria anima. Forse, questo andamento culturale, potrebbe interessare in qualche misura anche il grande continente africano. L’invasione violenta del consumismo sfrenato, fine a se stesso, corrode il modo di pensare, le aspettative, e quindi le grandi tradizioni, i valori più veri, il senso di appartenenza ad una comunità e ad un popolo, la solidarietà fraterna. La globalizzazione corre ovunque – lo vediamo – e con essa anche i dinamismi buoni, ma anche quelli perversi che è necessario contrastare e, se possibile, prevenire con l’annuncio instancabile del Vangelo di Cristo  nella esperienza capillare della Chiesa.
2.            In questa prospettiva, diventa sempre più evidente quanto il rapporto dell’Europa con l’Africa avvenga non solo sul piano della solidarietà materiale verso coloro che ingiustamente spesso non siedono al tavolo del benessere – e questo rapporto deve assolutamente continuare – ma anche della reciprocità culturale ed ecclesiale, cioè nel dialogo operoso. In modo significativo, Papa Benedetto XVI diceva recentemente alla Curia Romana: “L’incontro in Africa con la gioiosa passione per la fede è stato un grande incoraggiamento. Lì non si percepiva alcun cenno di quella stanchezza della fede, tra noi così diffusa, niente di quel tedio dell’essere cristiani da noi sempre di nuovo percepibile. Con tutti i problemi, tutte le sofferenze e pene che certamente proprio in Africa vi sono, si sperimentava tuttavia sempre la gioia di essere cristiani, l’essere sostenuti dalla felicità interiore di conoscere Cristo e di appartenere alla sua Chiesa. Da questa gioia nascono anche le energie per servire Cristo  nelle situazioni opprimenti di sofferenza umana, per mettersi a disposizione,  senza ripiegarsi sul proprio benessere. Incontrare questa fede pronta al sacrificio, e proprio in ciò gioiosa, è una grande medicina contro la stanchezza dell’essere cristiani che sperimentiamo in Europa” (Auguri di Natale alla Curia Romana, 22.12.2011).              Il dialogo tra i due continenti si sviluppa, ho detto prima, su due versanti: quello culturale e quello ecclesiale fatto di sostegno e di servizio. Infatti, insieme alla testimonianza ammirabile della gioia della fede nonostante difficoltà economiche, politiche, culturali e a volte anche religiose, l’Africa dona alle Chiese europee il servizio di non pochi sacerdoti: presbiteri fidei donum o studenti sono una presenza pastorale preziosa per molte delle nostre comunità cristiane. Naturalmente, è necessario un rapporto sempre più intenso tra le diocesi a quo e quelle ad quem, un discernimento motivazionale puntuale, un coordinamento pastorale, nonché un accompagnamento formativo imprescindibile, perché questi nostri confratelli  non si sentano smarriti e soli. Gli incontri del clero nelle diverse diocesi, e innanzitutto il contatto  periodico con il Vescovo che accoglie, sono convinzioni radicate nel cuore di tutti noi Pastori. La diminuzione del Clero in Europa non deve essere la motivazione di questo scambio di servizio pastorale, come già è stato rilevato nel Seminario di Abidjan nel 2010, ma solo l’occasione che stimola tutti ad intensificare la circolazione dei doni, in quello spirito di comunione ecclesiale che manifesta la cattolicità della Chiesa come sacramento di salvezza e segno di unità del genere umano (cfr.Conc.Vat. II, L.G.1).
             Cari Confratelli e Amici, molti sono i temi e le esperienze che da immettere nel circolo della nostra corresponsabilità di Vescovi stretti attorno al Santo Padre, Pastore e Maestro della Chiesa Universale. Il cammino intrapreso da tempo è promettente; ognuno di noi desidera continuare con i passi e i tempi scanditi dalla luce dello Spirito, pensando anche un prossimo appuntamento. Tocca a noi ascoltare con umiltà, avendo nel cuore l’eco delle nostre Chiese  e negli occhi il Pastore grande delle anime, sapendo che per essere noi degni del mandato ricevuto – guidare le nostre comunità – dobbiamo ogni giorno lasciarci guidare da  Cristo  come discepoli docili e generosi.  
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