martedì 5 febbraio 2019
Si apre oggi a Roma la causa di beatificazione del gesuita che guidò la Compagnia nel Vaticano II Missionario in Giappone, fautore dell’opzione «poveri», fu il primo preposito generale a dimettersi
Padre Arrupe assieme a Paolo VI

Padre Arrupe assieme a Paolo VI

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L’apertura della fase diocesana nel Palazzo lateranense alla presenza del cardinale vicario De Donatis e dell’attuale preposito generale Sosa. Il postulatore Cebollada: così si potrà recuperare la sua spiritualità Paolo VI riceve padre Pedro Arrupe che fu eletto preposito dell’Ordine dei gesuiti nel 1965 durante il Concilio Vaticano II

Essere uomini per gli altri. È stato il motto di vita e la cifra di apostolato di padre Pedro Arrupe (1907-1991), il secondo basco dopo Ignazio di Loyola a guidare la Compagnia di Gesù nella tempesta del post-Concilio dal 1965 al 1983. E probabilmente questa frase simbolo di “don Pedro”, come comunemente era chiamato dai “suoi” confratelli, riecheggerà oggi – nello stesso giorno in cui nel 1991 il carismatico ignaziano morì nell’infermeria della Curia dell’Ordine a Roma – per l’apertura ufficiale alle 16 della causa di beatificazione a Roma nel Palazzo lateranese alla presenza del cardinale vicario di Roma Angelo De Donatis e del terzo successore di Arrupe, l’attuale preposito generale della Compagnia, il venezuelano Arturo Sosa Abascal.

«Quest’atto – spiega il postulatore della causa, Pascual Cebollada, gesuita spagnolo classe 1960 – ci permetterà di fare una prima ricognizione storica su questa figura, di rileggere i suoi scritti, la sua spiritualità ma anche di realizzare una prima indagine attraverso le testimonianze di chi lo ha conosciuto e così appurare nel profondo come praticò e visse le virtù cristiane. Nel solco della migliore tradizione degli Esercizi egli fu un profondo conoscitore dell’“umanità di Cristo”». Un personaggio, Arrupe, nella memoria devota di generazioni di gesuiti: basti pensare all'ammirazione manifestata verso di lui da uomini del rango di Carlo Maria Martini e Jorge Mario Bergoglio che, da poco eletto Pontefice, nel luglio del 2013 si recò pellegrino sulla tomba dell’amato generale a Roma. E Arrupe è stato anche missionario in Giappone. Diventato maestro dei novizi, si trovava a Hiroshima quando il 6 agosto 1945 venne sganciata la bomba atomica sulla città. Per aiutare la popolazione trasformò il noviziato in un ospedale da campo, e grazie alla sua formazione medica è stato in grado di aiutare molti feriti. «Non è un caso che da lì scaturisca in un certo senso la sua attenzione agli ultimi, “l’amore fondamentale per i poveri” – sottolinea Cebollada – che saranno assieme alla missione e all'inculturazione uno dei tratti fondamentali del suo generalato accanto alla questione della giustizia sociale».

Ma a colpire della “cifra di santità” di questo religioso noto anche per la sua capacità di essere «un ottimo comunicatore » – nel 1973 la prestigiosa rivista Time gli dedicherà una copertina – e considerato proprio per questo dai media del suo tempo in un certo senso come l’ultimo “Papa nero” dei gesuiti, è la sua indole di vivere sempre all'insegna di una sobrietà tipicamente ignaziana. «Riprendendo in mano la sua lunga esistenza – osserva il postulatore – si rimane edificati dal suo stile di povertà personale e di come durante il suo generalato vi fu una completa riscoperta delle fonti originali della spiritualità ignaziana. E la stessa parola “discernimento” ora tanto in voga ha in lui uno degli ispiratori in un approccio di linguaggio anche a livello pastorale». E annota: «Come Ignazio aiutò i gesuiti ad attuare il Concilio di Trento, così Arrupe ha fatto la stessa cosa con il Vaticano II».

Tuttavia i 18 anni di governo di Arrupe furono cadenzati anche da momenti di “incomprensione” e “attrito” anche con la Santa Sede. La 32ª Congregazione della Compagnia (1974-75) da lui presieduta formulerà la richiesta di estendere il IV voto di obbedienza a tutti i gesuiti (rifiutata da Paolo VI) e le dimissioni da generale (le prime nella storia dell’Ordine per una carica che Ignazio aveva previsto a vita) accolte da Giovanni Paolo II a causa di un ictus con danni permanenti che colpì il sacerdote basco nel 1981. Per l’interregno della guida dell’Ordine papa Wojtyla nominò fino all’elezione del successore di Arrupe l’olandese Peter Hans Kolvenbach nel 1983 e suoi “delegati personali” due gesuiti: il milanese Paolo Dezza (il confessore di Paolo VI) e il sardo Giuseppe Pittau.

«Se si va a leggere nel profondo l’azione di Arrupe – confida Cebollada – si rimane impressionati dalla sua ammirazione e dall'obbedienza da autentico gesuita verso il Romano Pontefice. Per lui il Papa è il Papa, e basta. Spesso lo si è contrapposto a Giovanni Paolo II ma se si guarda la visione attorno all'evangelizzazione e alle questioni sociali, si trovano tanti punti in comune tra i due: avevano lo stesso spirito missionario». Un religioso di razza dunque che all’interno della Compagnia è ancora oggi memoria viva: a lui nel mondo sono intitolati tanti centri di ricerca, di spiritualità o di aiuto ai rifugiati tra questi il Jesuit Refugee Service Astalli di Roma. «Per ora non ci sono dei miracoli attribuibili a lui – riflette infine il postulatore –. Ci sono degli indizi, piccoli segni che però suffragano la sua “fama di santità”. Egli fu per noi, come disse padre Kolvenbach, “il profeta del rinnovamento conciliare”».

In comune con Ignazio di Loyola l'origine basca

Pedro Arrupe (1907-1991) è stato dopo Ignazio di Loyola il secondo religioso a provenire dai Paesi Baschi chiamato come 28° successore del fondatore a guidare la Compagnia di Gesù per ben 18 anni, dal 1965 al 1983. Tra i dati singolari del suo generalato vi è stato nella plurisecolare storia dell’Ordine un primato: quello che nel 1965 i gesuiti toccarono il picco della loro presenza numerica: 36mila religiosi (divisi in professi, coadiutori spirituali e temporali) scesi a 25mila nell’anno della sua morte nel 1991. Arrupe è stato l’ultimo preposito della Compagnia di Gesù nei suoi oltre 450 anni di storia ad avere un rito funebre nella chiesa madre dell’ordine il “Gesù” di Roma, dove riposano le spoglie di sant’Ignazio di Loyola. Le esequie del “Papa nero”, come voleva la tradizione, si svolsero il 9 febbraio 1991 e furono celebrate dal maestro dell’Ordine dei domenicani (è stato l’ultimo caso nella storia della Chiesa), l’irlandese Damian Byrne. Pedro Arrupe dal 1997 ha avuto il privilegio di essere sepolto all’interno della Chiesa del Gesù. Il suo piccolo monumento funebre si trova di fronte a quello di un altro gesuita che guidò la Compagnia di Gesù, in anni turbolenti, l’olandese Jan Roothaan.

Un sito web curato dai confratelli ricorda la sua vita

In occasione dell’apertura della causa di beatificazione la Curia generale dei gesuiti ha allestito una pagina web dedicata al loro generale Pedro Arrupe: arrupe.jesuitgeneral.org/en. Il sito permette di conoscere da vicino anche attraverso una dettagliata galleria fotografica la storia e l’apostolato di questo religioso. Attualmente sulla figura di questo carismatico gesuita sono state scritte molte biografie. Tra queste segnaliamo il saggio dello storico Gianni La Bella (Il Mulino, 2007) “Pedro Arrupe. Un uomo per gli altri”, il volume del suo più autorevole biografo il gesuita Pedro Miguel Lamet scritto per Àncora nel 1993 “Pedro Arrupe. Un’esplosione nella Chiesa” e infine quella redatta per le Paoline nel 1998 dallo storico assistente del suo generalato il francese Jean Pierre Calvez “Pedro Arrupe. La Chiesa dopo il Vaticano II”. <+SIGLA50_BOX>(F.Riz.)


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