Castellucci: «Ecco le vie del Cammino sinodale per rinnovare la Chiesa italiana»

Parla l'arcivescovo, presidente del Comitato Cei. Laici, parrocchie, donne, giovani, Iniziazione cristiana, affettività, pace, lavoro: i temi delle proposte che saranno votate dall'Assemblea sinodale del 25 ottobre
October 17, 2025
Castellucci: «Ecco le vie del Cammino sinodale per rinnovare la Chiesa italiana»
La celebrazione eucaristica in una parrocchia nell’Appennino dell’Italia centrale / AVVENIRE
Tre capitoli. Settantacinque paragrafi. E centoventiquattro «proposte» concrete che intendono promuovere una «conversione» missionaria della Chiesa italiana. Il Documento di sintesi che ieri ha diffuso la Cei raccoglie i frutti di quattro anni del Cammino sinodale nel Paese. «Proposte», secondo la definizione tecnica, che verranno votate nell’Assemblea sinodale in programma sabato 25 ottobre a Roma dove si ritroveranno circa mille delegati da tutta la Penisola. «Proposte» che, dopo il via libera, verranno consegnate nelle mani dell’episcopato italiano. «Descriverei il testo come una raccolta di esperienze, aperture e indicazioni – racconta l’arcivescovo Erio Castellucci, presidente del Comitato nazionale del Cammino sinodale –. Nel 2021 papa Francesco ci aveva invitato ad avviare il percorso con fiducia, pur senza sapere dove saremmo arrivati. E aveva insistito sull’importanza dell’ascolto reciproco: laici e pastori, donne e uomini, appartenenti a religioni e culture diverse».
L'arcivescovo Erio Castellucci durante la seconda Assemblea sinodale della Chiesa italiana /SICILIANI
L'arcivescovo Erio Castellucci durante la seconda Assemblea sinodale della Chiesa italiana /SICILIANI
Il Documento arriva dopo quanto accaduto nella seconda Assemblea sinodale che si era tenuta dal 31 marzo al 3 aprile, quando il Consiglio permanente della Cei aveva ritirato il testo delle proposizioni da far approvare, accogliendo il suggerimento di «un laicato maturo» e il «dissenso costruttivo» scaturito nel dibattito, è scritto nell’attuale sintesi. Sintesi che recepisce gli emendamenti emersi nell’incontro della scorsa primavera. A segnare l’itinerario scandito da tre fasi, che ha coinvolto 500mila persone e 400 referenti diocesani, è stato anche il cambio del Papa: da Francesco a Leone XIV. Rispetto al Documento di aprile, quello attuale ha un titolo modificato: da “Perché la gioia sia piena” a “Lievito di pace e di speranza”. «Siamo partiti ancora in mezzo alla crisi sanitaria della pandemia e siamo arrivati fino qui immersi nella crisi geopolitica delle guerre e in pieno Giubileo della speranza. Il nuovo titolo è dovuto a questo scenario mondiale e alla necessità di collocarvi la Chiesa: per questo abbiamo utilizzato l’invito di papa Leone ad essere “lievito”», afferma l’arcivescovo di Modena-Nonantola e vescovo di Carpi.
Eccellenza, il testo «non è solo un punto d’arrivo, ma di partenza», si legge nell’introduzione. Che cosa attendersi?
Nell’Assemblea della prossima settimana ci aspettiamo una votazione che, esprimendosi su ciascuna delle proposte presenti nel testo, indichi ai vescovi quali siano le priorità riconosciute dal popolo di Dio. Già i lavori quadriennali delle diocesi e delle altre realtà intervenute, insieme ai contributi ultimi delle regioni, hanno fatto emergere punti di rilievo, tutti agganciati al grande orizzonte della missione e della testimonianza: come il rinnovamento dell’Iniziazione cristiana, la necessità di una formazione dei cristiani sulla base della Parola di Dio, la corresponsabilità nel servizio alla comunità cristiana.
Il Documento si basa su numerose proposte. Qual è il senso?
Le oltre cento proposte non sono semplicemente accatastate l’una accanto all'altra, ma il tentativo di indicare delle piste di lavoro, in parte nuove e in parte già battute da alcuni. Naturalmente non tutto potrà essere tradotto in pratica immediatamente, anche perché vengono chiamati in causa soggetti diversi (Chiesa universale, Chiese locali, regioni ecclesiastiche, diocesi, parrocchie...), ma certamente si dovrà tenere conto di tutto. In un certo senso ai vescovi spetta, passando dall’Assemblea sinodale alle Assemblee della Cei, di individuare le modalità più adeguate per “mettere in fila” le proposte, approvando subito ciò che è possibile approvare e sistemando in ordine di esecuzione ciò che richiede più tempo.
La seconda Assemblea sinodale della Chiesa italiana della scorsa primavera / SICILIANI
La seconda Assemblea sinodale della Chiesa italiana della scorsa primavera / SICILIANI
Papa Leone ha invitato in varie occasioni a rilanciare l’evangelizzazione. Come il Documento recepisce questa sfida?
L’intero Documento, si può dire, costituisce il tentativo di trovare nuovo slancio nell'annuncio del Vangelo. Una cosa è emersa da subito con grande chiarezza nel Cammino sinodale: le Chiese in Italia non hanno manie di grandezza, non vogliono ripiegarsi nella nostalgia del passato. Fin dai primi passi l’ottica è stata quella di ascoltare “ciò che lo Spirito dice alle Chiese”, nella convinzione che, pur in una situazione per tanti versi scristianizzata e secolarizzata, lo Spirito semina nuovi germogli, offre nuove opportunità.
Il Papa ha chiesto più collaborazione fra le comunità. Ci sono numerose proposte su questo tema.
Dall’inizio del suo pontificato Leone XIV batte sul tasto della pace, della concordia e dell'unità. Questo tasto tocca anche le relazioni tra le diverse comunità. Nei decenni passati si perdeva troppo tempo a ridisegnare i propri confini e le competenze di ciascuno: le discussioni interminabili tra parrocchie e movimenti, tra clero e laici, tra carismi e istituzione, hanno rischiato di concentrare le migliori energie sulle “questioni interne”. Ma quando l’orizzonte della missione si abbassa o si trascura, quello della comunione diventa un cerchio autoreferenziale. Oggi, anche a motivo dell’impoverimento strutturale delle nostre comunità, è più chiaro che le energie disponibili vanno convogliate, come scriveva papa Francesco nella sua prima Esortazione apostolica, per “uscire”, cioè ascoltare il grido delle persone, che cercano, consapevolmente o meno, una prospettiva di senso per la loro vita.
Pastorale digitale e giovani. Come la Chiesa viene interrogata?
Credo che il punto non sia tanto la Rete, quanto i giovani: se impariamo ad ascoltarli, ad eliminare gli ostacoli (ancora tanti!) che rallentano o impediscono loro di esprimersi, a preoccuparci meno di cosa dire loro e più di cosa lasciar dire a loro, anche i villaggi digitali potranno diventare veicoli di annuncio del Vangelo. Non tanto con le prediche su YouTube, ma con la circolazione di esperienze, idee creative, arte e musica, preghiere e proposte celebrative, testimonianze significative, attenzione agli ultimi e alla cura del creato. Su questi orizzonti si incontrano anche tanti giovani che non entrano in relazione con le nostre comunità territoriali, ma percorrono quelle digitali.
I bambini della Prima Comunione / SICILIANI
I bambini della Prima Comunione / SICILIANI
Il Papa ha sollecitato a rinnovare l’Iniziazione cristiana. Anche dalle proposte emerge la stessa richiesta.
Giusto. Fin dai primi passi del Cammino sinodale molte diocesi si sono concentrate sull’Iniziazione cristiana; alla fine della fase profetica, un terzo delle Chiese locali l’ha indicata come priorità tra tutte. In Italia sono quasi generalmente i bambini e i ragazzi ad essere iniziati alla fede, ma non mancano giovani e adulti che, in diverse occasioni, la riscoprono e intraprendono dei percorsi di approfondimento. In ogni caso, l’Iniziazione cristiana ha come paradigma la fede adulta e matura. Si tratta di fornire strumenti per aiutare le comunità (parrocchie, associazioni e movimenti, santuari e luoghi antichi e moderni di spiritualità) ad offrire alle persone, piccole e grandi, esperienze di ascolto della Parola di Dio, fraternità, missione e servizio, celebrazione e preghiera, arte e testimonianza, che possano davvero “iniziare” all’intera vita cristiana.
Le Commissioni Cei non solo con vescovi, ma anche con laici. Una proposta carica di novità?
In realtà in questi decenni tanti laici sono stati consultati su diversi argomenti anche nelle Commissioni, ma la proposta - che dovrà comunque essere votata in Assemblea - chiede che la presenza di laici, donne e uomini, diventi strutturale. Sarebbe una novità per la Cei, ma sarebbe anche, in un certo senso, la ripresa di intuizioni che esprimeva già un secolo e mezzo fa il cardinale John Henry Newman, quando chiedeva ai vescovi inglesi (ma va bene anche per quelli italiani) di consultare i fedeli laici prima di esprimersi, anche in materia di dottrina.
Che cosa significa «promuovere un’effettiva parità di genere» nella guida degli uffici diocesani?
Significa imitare, nel piccolo delle nostre diocesi, quanto nel grande della Curia Romana ha iniziato a fare papa Francesco: affidare alle donne dei compiti di responsabilità, dove si possano anche prendere delle decisioni. In Italia non mancano le Chiese locali in cui le donne sono responsabili di uffici diocesani o sono presenti in organismi nei quali la votazione può avere un peso deliberativo, come il Consiglio per gli affari economici o il Consiglio episcopale.
Fra le proposte ci sono quelle sull’educazione alla pace, sulla cura del Creato, sui laboratori di cittadinanza. Quale impegno sociale per la Chiesa italiana?
Dopo l’epoca delle scuole diocesane di Dottrina sociale della Chiesa nei decenni dell'immediato post-Concilio, non abbiamo ancora saputo elaborare delle proposte formative adeguate. La caduta dei “partiti ideologici”, all’inizio degli anni Novanta, ha lasciato libero lo spazio per una proposta socio-politica, che la Cei decise allora di giocare con una certa immediatezza, trascurando probabilmente alcune mediazioni che potevano essere affidate a laici cristiani. Nel frattempo sono nate tante esperienze, anche da parte dei giovani, che intrecciano i motivi di fondo della Dottrina sociale della Chiesa, ora rilanciata esplicitamente da papa Leone XIV, anche con la scelta di questo nome. Probabilmente il lavoro da fare sarà proprio quello dei “laboratori”, più che delle “scuole”, per formarsi alla edificazione del regno di Dio nella storia con modalità nuove.
Un gruppo italiano al Giubileo dei giovani
lo scorso luglio / SICILIANI
Un gruppo italiano al Giubileo dei giovani
lo scorso luglio / SICILIANI
Quale attenzione alle povertà, come raccomanda il Papa nella sua prima Esortazione apostolica “Dilexi te”?
Questa è una delle carenze del Documento. La lettura della “Dilexi te” mi ha persuaso che in questi anni di Cammino sinodale sia stata troppo scarsa l'attenzione alle povertà. Alla fine della fase narrativa era emersa da parecchie parti la constatazione che i poveri non si erano coinvolti o non erano stati coinvolti nel percorso sinodale. Quando Leone XIV, sulle orme di papa Francesco, dice che i poveri sono protagonisti e non semplici destinatari, ci aiuta a fare un esame di coscienza serio. Non è populismo, è Vangelo.
Fra le proposte ce ne sono alcune sulle «persone omoaffettive e transgender» e sulle coppie conviventi. Proposte meditate a lungo?
Sì, sono proposte meditate, discusse e confrontate a lungo. Si tratta di argomenti per certi aspetti “nuovi” nel panorama sociale ed ecclesiale. Sarebbero stati impensabili, da noi, anche solo pochi decenni fa. Esistono però ormai esperienze collaudate di affiancamento e accompagnamento delle coppie conviventi, divorziate e/o risposate, sull'onda delle indicazioni di Amoris laetitia, ed alcune esperienze con le persone omoaffettive e transgender, che possono suggerire delle piste. Vanno uniti il rispetto e riconoscimento delle persone, nella loro dignità e situazione, con la disponibilità a compiere insieme a loro un percorso, per scoprire la volontà di Dio su di loro.
Laici e corresponsabilità. Si suggerisce di affidare ai laici celebrazioni non eucaristiche e gestione delle parrocchie.
La corresponsabilità è una delle priorità indicate nel Cammino sinodale. Significa molte cose: assunzione di responsabilità comune da parte di pastori, fedeli laici e consacrati; valorizzazione dei ministeri laicali; condivisione nella gestione dei beni e delle risorse comunitarie; e tanto altro. Oggi c’è una richiesta diffusa di “snellimento” dell’amministrazione e della guida delle comunità, specialmente delle parrocchie. La percezione, specialmente da parte di molti presbiteri, è che grava sulle spalle degli operatori pastorali (in particolare dei parroci) una mole di incombenze burocratiche e amministrative sproporzionata rispetto alle esigenze della missione. Sarà indispensabile trovare le vie – alcune si stanno già sperimentando – per rimettere al centro dell’esperienza cristiana l’annuncio piuttosto che l’organizzazione.
Nel Documenti si parla anche della questione degli abusi. Come affrontarla?
Con trasparenza. La Cei, negli anni scorsi, ha già compiuto alcune scelte, a partire dalla costituzione dei Servizi interdiocesani di tutela dei minori e degli adulti vulnerabili, periodicamente verificati. Molte diocesi hanno dato vita ai Centri di ascolto. Esistono linee-guida dettagliate sull’argomento. Tutto questo, insieme alla richiesta ferma di prevenzione e educazione (a cui servono alcuni strumenti pubblicati dalla stessa Cei), trova riflesso nel Documento. È in atto inoltre una rilevazione, quantitativa e qualitativa, dei casi di molestia e abuso denunciati nelle singole Chiese locali; è una ricerca portata avanti da due istituti indipendenti che elaborano i dati e offriranno appena possibile i risultati. L’importante è considerare il dolorosissimo tema – che affligge purtroppo tutta la società e non solo la Chiesa – non con l’intento di preservare le istituzioni, ma di custodire le persone. Senza attivare una “caccia alle streghe” – e quindi distinguendo le false accuse da quelle vere o verosimili – ma mettendosi dalla parte delle vittime.

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