Il caregiving non va in vacanza
di Redazione
Il ruolo dei collaboratori familiari assume in questo periodo una funzione socialmente rilevante

Il caregiver familiare non si prende cura di un “paziente”, ma di una persona con cui ha un legame affettivo, una storia personale. Ciò significa che non si limita all’assistenza in senso stretto (aiuto pratico, cure, gestione dei bisogni quotidiani), ma implica un coinvolgimento emotivo profondo e continuo. Preoccupazione costante, senso di responsabilità, paura della perdita, senso di colpa, impotenza. Il ruolo dei counselor a sostegno dei caregiver familiari che si prendono cura volontariamente e gratuitamente di un parente non autosufficiente, disabile, anziano, sta assumendo sempre più una funzione sociale. Un esercito di sette milioni di persone, per lo più donne fra i 45 e i 64 anni, che deve sopportare sulle proprie spalle un carico di lavoro lungo 12 ore al giorno.
«Spesso - spiega Maria Cristina Falaschi, presidente di Reico - ci troviamo davanti a soggetti che hanno messo da parte la loro vita professionale e personale per garantire il caregiving in modo stabile e continuativo: a loro serve un supporto emotivo, uno spazio dove poter elaborare una scelta, spesso obbligata, che li vede sacrificarsi per il bene di qualcun altro. E nella maggior parte dei casi, si tratta di donne che rinunciando alla realizzazione del sé professionale, si trovano a indebolire la loro posizione sociale e quella economica». Il coinvolgimento affettivo rende difficile mantenere una distanza protettiva. Il caregiver spesso fatica a distinguere il proprio ruolo dalla propria identità, finendo per mettere da parte bisogni, desideri e spazi personali. In questo senso, il prendersi cura dell’altro può trasformarsi in un progressivo dimenticarsi di sé, con ricadute sul benessere emotivo e relazionale.
«Il nostro compito - continua Falaschi - è quello di accogliere il vissuto dei in uno spazio di ascolto dove il caregiver ha la libertà di esprimersi per quello che sta vivendo nell’impegno di assistenza alla persona. Aiutiamo il caregiver a riconoscere i propri bisogni e a prendersene cura, per ridurre il rischio del loro esaurimento psico-fisico. Sosteniamo la persona affinché non si isoli nel compito gravoso del caregiving, bensì mantenga il senso di equilibrio e di autoefficacia per cui, ad esempio, sanno di potersi connettere con gli altri servizi e reti solidali. Il nostro obiettivo è insomma quello di non lasciare solo chi ha, oggi più che mai, un ruolo fondamentale nelle nostre comunità». Aspetti che diventano ancora più rilevanti a Natale, un periodo che coinvolge maggiormente a livello emotivo e pratico nel ritrovarsi nelle occasioni di incontro. «Le feste - prosegue la presidente di Reico - possono accentuare il senso di isolamento per chi è assistito ma anche per chi assiste, rendendo il contributo del caregiver ancora più delicato. Non è semplice includere l’assistito nelle occasioni di festa: i bisogni speciali della persona assistita restano gli stessi, a prescindere dalle festività. E questo mal si concilia, in questi giorni di festa, con i bisogni dei caregiver di vivere i tradizionali momenti di svago conviviale, altrettanto leciti. E dunque si tratta di trovare soluzioni che siano rispettose dei bisogni degli uni e degli altri, questo non è scontato. Non ci sono soluzioni preconfezionate. Ogni assistito, ogni famiglia è una storia a sé: noi Counselor siamo qui ad accogliere ognuna di queste storie, per sostenere il caregiver nel trovare la soluzione migliore possibile, per sé e per la sua famiglia».
© RIPRODUZIONE RISERVATA




