E' ora che l'Europa decida che cosa vuole essere

Si dovrebbe convocare al più presto una conferenza straordinaria dei capi dei governi che metta all’ordine del giorno la visione del mondo europea
December 21, 2025
E' ora che l'Europa decida che cosa vuole essere
Una carta geografica dell'Europa/ FOTOGRAMMA
C’è una frase attribuita a Esopo che suona perfetta per queste settimane convulse: Hic Rhodus, hic salta. Qui è Rodi, qui bisogna saltare. Non altrove, non appellandosi a imprese passate, ma qui e ora. È difficile trovare un’espressione più adatta per descrivere la condizione dell’Europa di oggi. Per decenni il continente si è raccontato – e in parte giustamente – come culla della civiltà moderna: la filosofia greca, il diritto romano, il cristianesimo, l’Illuminismo, lo Stato di diritto, la democrazia rappresentativa, il welfare. Un patrimonio immenso, che ha segnato la storia del mondo. Ma il tempo delle rendite simboliche è finito. Oggi l’Europa è chiamata a dimostrare se tutto questo conta ancora, non nei manuali di storia, ma nella capacità di orientare il presente e immaginare il futuro. In discussione c’è l’umanesimo che ha contraddistinto la storia europea. Non come etichetta culturale, ma come forma di vita e come progetto storico che si appoggia su tre pilastri principali: lo Stato di diritto, con la limitazione della violenza; la democrazia, con l’uguaglianza di tutti i cittadini; il welfare state, con la traduzione concreta del principio di solidarietà. In questo modo, l’Europa ha sottratto il potere all’arbitrio, ha riconosciuto la dignità politica di ogni cittadino, ha trasformato il conflitto in confronto regolato. La libertà non è reale senza pace, senza sicurezza sociale, senza accesso all’istruzione, alla salute, a una protezione di base contro i rischi della vita. Insieme, questi elementi hanno creato un lungo periodo di pace, prosperità e inclusione.
E tuttavia, oggi questi pilastri traballano, erosi dal tempo e dall’incalzare dei mutamenti. Lo Stato di diritto rischia di trasformarsi in un moloch burocratico che soffoca la vita e lo spirito di iniziativa; la democrazia rischia di ridursi a procedura vuota, mero rituale elettorale lontano dalle speranze e dalle paure dei cittadini; il welfare, da strumento di emancipazione, rischia di diventare un sistema di compensazione passiva, incapace di generare senso, responsabilità e futuro. I dati dicono che l’Europa oggi è il continente più nichilista del mondo: quello in cui la vita è più protetta, ma anche quello in cui il desiderio collettivo appare più debole; quello in cui si vive più a lungo, ma anche quello dove si fatica di più a rispondere alla domanda fondamentale: per che cosa?
Il nichilismo europeo non nasce dalla miseria o dall’oppressione, come in altri contesti storici, ma dall’abbondanza senza orientamento. Quando la libertà diventa solo assenza di vincoli e il benessere solo gestione del presente, viene meno la tensione verso un senso condiviso. La democrazia, privata di una visione antropologica forte, fatica a mobilitare energie vitali. Il welfare, separato da un’idea di generatività sociale, rischia di trasformarsi in pura amministrazione del declino. La sfera pubblica svuotata di ogni dimensione spirituale scade nel caos comunicativo dove tutti parlano e nessuno ascolta. È l’umanesimo europeo che vacilla: prima che per gli attacchi dei nemici esterni, per svuotamento interno. Come non vedere che la debolezza delle élite riflette il disorientamento dello spirito europeo.
Al di là delle minacce geopolitiche, delle guerre ai confini, della competizione tecnologica e delle questioni istituzionali, l’Europa è oggi prima di tutto chiamata a dire che cosa vuole essere nel mondo. Non solo che cosa vuole difendere, ma che cosa vuole affermare. Esattamente come stanno facendo, in modo sempre più esplicito, altre grandi civiltà. Da un lato, gli Stati Uniti, pur attraversati da profonde divisioni, continuano a pensarsi come portatori di una missione storica, fondata su un’idea di libertà e di potenza. Dall’altro la Cina che propone un proprio modello di futuro che combina sviluppo tecnologico e controllo politico. L’Europa, invece, sembra definirsi solo per sottrazione: non imperiale, non autoritaria, non aggressiva. Ma questo non basta più. Dire chi si vuole essere significa prendere posizione sul senso del progresso, sulle condizioni della pace, sul rapporto tra tecnica e vita. Significa chiarire in che senso l’umanesimo europeo possa ancora rappresentare una proposta per il XXI secolo, tenendo insieme libertà, limite, responsabilità, cura. Non come nostalgico ritorno al passato, ma come elaborazione di una forma di civiltà all’altezza delle trasformazioni in corso: digitali, ecologiche, demografiche, geopolitiche. Se questo è vero, allora si pone una domanda concreta e politica: è immaginabile, nel primo semestre del 2026, una conferenza straordinaria dei capi dei governi europei che ponga all’ordine del giorno la visione del mondo europea? Non un vertice tecnico, non l’ennesima trattativa su parametri e competenze, ma un momento esplicitamente dedicato a interrogarsi sul destino europeo? Un luogo in cui l’Europa accetti finalmente la sfida di Esopo: smettere di raccontare quanto è stata grande, e provare a mostrare, qui e ora, che cosa può ancora diventare. Hic Rhodus, hic salta. Per l’Europa, il tempo del salto è arrivato.

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