sabato 23 aprile 2022
Parla il religioso del Patriarcato di Mosca, da 36 anni in Russia: «Arriviamo a questo giorno con i fedeli sgomenti e contro la guerra. Ma anche con famiglie divise»
Padre Giovanni Guaita, monaco ortodosso a Mosca

Padre Giovanni Guaita, monaco ortodosso a Mosca - Collaboratori

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La guerra non solo distrugge il popolo sconfitto, ma anche il vincitore; distrugge anche coloro che la guardano con notizie superficiali per vedere chi è il vincitore. La guerra distrugge tutti.

Papa Francesco, alla Comunità “Madonna delle Lacrime” di Treviglio
Festeggiare il Risorto con la morte nel cuore. Inondare di lacrime, di angoscia e dolore, la più importante delle feste cristiane. Impegnarsi nel servizio alla vita nuova, nel rafforzamento della comunità, con il cuore appesantito dai sensi di colpa. Per i fedeli ortodossi russi, quella odierna sarà una Pasqua particolare, differente. «La definirei paradossale – spiega padre Giovanni Guaita, 59 anni, sardo, monaco ortodosso russo che esercita il suo ministero sacerdotale nella parrocchia moscovita dei Santi Cosma e Damiano –, per una situazione che non è solo di tensione ma di odio e di violenza tra fratelli, tra membri della stessa Chiesa, visto che la maggioranza degli ucraini è legata al Patriarcato di Mosca».


Mentre nelle chiese si celebra la Risurrezione di Cristo, in Ucraina si combatte e si consumano fatti di sangue, si spara e si distrugge.
Ed è inconcepibile, una vergogna per tutti. D’altra parte però la fede cristiana si fonda su un paradosso fondamentale, che cioè Cristo risorto ha schiacciato la morte morendo, l’ha vinta prendendosela su di sé, entrandoci, scendendo agli inferi. Facendo un parallelo con l’oggi, questo significa una discesa nell’odio, nella violenza, nella guerra. Questa Pasqua assolutamente strana ci costringe a pensare all’essenziale.

La sua comunità come vive questi giorni? Riesce a sapere cosa succede in Ucraina?
Le fonti d’informazione autonome rispetto al governo sono molto carenti, quasi inesistenti. A livello di giornali, radio e tv, non si trova quasi niente. Non parlo solo di interpretazione dei fatti ma di notizie. Tutto è strettamente controllato. È possibile accedere a dei siti alternativi grazie a internet o YouTube, ma sono quasi tutti registrati all’estero, molti non sono in russo e questo esclude i cittadini che non conoscono le lingue straniere.

Una qualche forma di opposizione da parte della comunità cristiana però c’è.
La Chiesa riflette la società, per cui in buona parte i fedeli sostengono la linea del governo, ma c’è anche una fetta di comunità assolutamente rattristata, scioccata da quel che accade. Non solo non approva ma condanna. Lo fa per quanto può, visto che pronunciarsi anche solo con un post su Facebook è altamente rischioso: ci sono leggi che prevedono pene molto severe in caso di diffamazione delle forze dell’ordine e dell’esercito o anche solo per il sostegno a una linea diversa da quella governativa. Per quanto mi riguarda direttamente, devo dire che la parrocchia in cui presto servizio è frequentata in buona parte dall’intellighenzia cittadina che si rifà all’eredità di padre Aleksandr Men’, sacerdote molto aperto, ucciso nel 1990. E tanti sono per un no categorico a quanto sta succedendo in Ucraina.

Ma in linea di principio gli oppositori sono tanti?
La maggioranza dei nostri fedeli non approva il conflitto. Il trend è di un aumento di coloro che non condividono o addirittura condannano ciò che sta accadendo.

Anche se non c’entrano nulla, ci sono fedeli che, in quanto russi, si sentono responsabili di quel che accade?
Io stesso che vivo in Russia da 36 anni, provo un senso di colpa, di vergogna. Certamente questi fatti costringono la Chiesa a fare un bilancio del servizio svolto in 30 anni di libertà. Se i fedeli ortodossi e più in generale i cittadini russi hanno difficoltà a distinguere il bene da un male così evidente, vuol dire che, pedagogicamente, anche noi pastori da qualche parte abbiamo sbagliato.

Nella sua comunità ci sono famiglie divise, magari con parenti di origine ucraina?
Al di là delle provenienze, nelle famiglie ci sono persone che la pensano in modo molto differente. E questa è un’altra grande sofferenza, perché arrivare a Pasqua con fratture nelle famiglie, nelle comunità religiose e parrocchiali, è molto doloroso.

In questi giorni lei cosa domanda innanzitutto nella preghiera?
Chiedo che finisca la violenza immediatamente, possibilmente oggi. Il metropolita Onufrij che guida la Chiesa ortodossa ucraina rimasta fedele al Patriarcato di Mosca aveva chiesto un cessate il fuoco di due giorni, per una processione fino a Mariupol e per poter aprire un corridoio umanitario. Purtroppo la risposta russa è stata negativa.

Tornando al tema iniziale, quella odierna sarà una festa contenuta.
Certamente la gioia sarà immersa nelle lacrime. Celebreremo e pregheremo come sempre perché crediamo nella risurrezione, tuttavia questa situazione paradossale ci mette davanti alla cosa più essenziale della fede cristiana: credere che Cristo ha vinto la morte non bypassandola, non evitandola, non scartandola ma entrandoci dentro, prendendola su di sé. Non si tratta solo di un dogma di fede ma riguarda la misura del nostro amore per gli altri. Se ci diciamo cristiani, non possiamo non vedere la morte di Gesù che, oggi, ri-muore sotto le macerie di Mariupol, non possiamo restare indifferenti alla morte dei nostri fratelli, dobbiamo reagire.
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