sabato 23 febbraio 2019
La Liturgia penitenziale, presente papa Francesco, ha concluso la terza giornata. L’esame di coscienza: abbiamo ascoltato e aiutato le vittime? Abbiamo cercato la giustizia per loro?
(Siciliani)

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"Attende Domine et miserere/quia peccavimus tibi". "Volgiti a noi, Signore, e abbi pietà/perché abbiamo peccato verso di te". L’antico canto gregoriano risuona nella Sala Regia del Palazzo apostolico. Segna l’inizio della celebrazione penitenziale presieduta da papa Francesco. Momento forte del summit sugli abusi con i 190 presidenti di conferenze episcopali giunti dai cinque continenti. Reso ancora più toccante dalla drammatica testimonianza, letta in spagnolo, di una giovane vittima che poi esegue una struggente melodia con il violino.

Il Vangelo di Luca con l’episodio del figliol prodigo è letto da una donna. Papa Francesco non tiene l’allocuzione, lo fa un presule africano, ma inizia a leggere l’esame di coscienza. «Per tre giorni – riconosce il Pontefice – ci siamo parlati e abbiamo ascoltato le voci di vittime sopravvissute a crimini che minori e giovani hanno sofferto nella nostra Chiesa. Ci siamo chiesti l’un l’altro: "Come possiamo agire responsabilmente, quali passi dobbiamo ora intraprendere?" Per poter entrare nel futuro con rinnovato coraggio, dobbiamo dire, come il figlio prodigo: "Padre, ho peccato".

Abbiamo bisogno di esaminare dove si rendono necessarie azioni concrete per le Chiese locali, per i membri delle Conferenze Episcopali, per noi stessi. Ciò richiede di guardare sinceramente alle situazioni creatasi nei nostri Paesi e alle nostre stesse azioni». Le domande da porsi le elenca il cardinale spagnolo Ricardo Blázquez Pérez. Incalzanti. «Quali abusi sono stati commessi contro minori e giovani dal clero e da altri membri della Chiesa nel mio Paese? Che cosa so delle persone che nella mia diocesi sono state abusate e violate da preti, diaconi e religiosi?».

E ancora: «Come nel mio Paese la Chiesa si è comportata con quanti hanno subito violenze di potere, di coscienza e sessuali? Quali ostacoli abbiamo messo nel loro cammino? Li abbiamo ascoltati? Abbiamo cercato di aiutarli? Abbiamo cercato giustizia per loro?». E poi: «Nella Chiesa del mio Paese, come ci siamo comportati con vescovi, presbiteri, diaconi e religiosi accusati di violenze carnali? Come, nei riguardi di coloro i cui crimini sono stati appurati? Che cosa ho fatto di persona per impedire le ingiustizie e garantire la giustizia? Che cosa ho trascurato di fare?». Infine: «Quali passi abbiamo intrapreso nei nostri Paesi per impedire nuove ingiustizie?».

La confessione delle colpe, inframmezzata dal Kyrie eleison", viene letta dal cardinale neozelandese John A. Dew. Confessione per «vescovi, presbiteri, diaconi e religiosi nella Chiesa» che «hanno commesso violenze nei confronti di minori e di giovani» e per non essere «riusciti a proteggere coloro che avevano maggiormente bisogno della nostra cura». Confessione di «aver protetto dei colpevoli» e aver «ridotto al silenzio chi ha subito del male». Confessione di non aver «riconosciuto la sofferenza di molte vittime» e non aver «offerto aiuto quand’era necessario». Confessione perché «spesso noi vescovi non siamo stati all’altezza delle nostre responsabilità».

Nell’omelia monsignor Philip Naameh, arcivescovo di Tamale e presidente della Conferenza episcopale del Ghana, commenta il brano di Luca. Rimarca l’atto di umiltà del figlio prodigo e il suo riconoscimento del suo errore. E aggiunge: «Saremo capaci di fare questo? Lo vorremo fare? L’attuale Incontro lo rivelerà, deve rivelarlo se vogliamo dimostrare che siamo degni figli del Signore, il nostro Padre celeste. Come abbiamo ascoltato e discusso oggi e nei due giorni precedenti, questo implica assumere responsabilità, fare mostra dell’accountability (del dovere di rendere conto) e istituire la trasparenza».


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