sabato 11 aprile 2020
Il progetto “Aiutami a dire arrivederci” voluto dal vescovo Gervasoni è sorto per venire incontro a quelle persone colpite dalle perdite improvvise dei loro cari a causa del Covid-19
In questi giorni non è nemmeno possibile celebrare i funerali. Nella foto il Cimitero monumentale di Milano

In questi giorni non è nemmeno possibile celebrare i funerali. Nella foto il Cimitero monumentale di Milano - Fotogramma

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Offrire attraverso una telefonata, una chiamata via Skype un segno concreto di presenza visibile della Chiesa verso i più fragili, ma soprattutto riuscire a garantire così un accurato e competente servizio di ascolto e di sostegno emotivo rivolto a tutte quelle persone colpite da un lutto non preventivato di un familiare morto a causa della pandemia del Covid-19. È la molla che ha spinto il vescovo di Vigevano Maurizio Gervasoni a istituire e far decollare, in tempi record, lo sportello di ascolto gratuito "Aiutami a dire arrivederci", affidandolo al centro di consulenza familiare della diocesi lomellina.​A guidarlo è il sacerdote e psicologo don Massimo Segù.

«A indurci a mettere in piedi questa struttura oltre al suggerimento del nostro vescovo - racconta il sacerdote - è stata la richiesta diretta dell'Azienda di tutela della salute (Ats) di Pavia che ha compreso che la vera emergenza non era tanto aiutare le persone a elaborare il lutto ma a gestire anche emotivamente il senso di una perdita improvvisa di un congiunto che rappresentava per quel nucleo familiare, spesso, il fulcro ». E osserva: «Vorremmo attraverso questa iniziativa essere accanto a queste persone colpite da un lutto così traumatico soprattutto in questa emergenza, durante la quale non è possibile salutare i loro cari. Non solo: anche noi fisicamente non possiamo ricevere queste persone così emotivamente fragili e devastate in un luogo, ma ci dobbiamo accontentare di farlo a distanza».

Nello specifico lo sportello (aperto da lunedì a venerdì; mail:info@accfvigevano.it; cell. 371.482.77.80) consentirà come primo impatto di aiuto tre colloqui tramite dispositivi a distanza (telefono o Skype) con psicologi, psicoterapeuti e consulenti familiari. «Alla luce di una possibile crescita dei morti provocati da questa pandemia - racconta don Massimo - il nostro sportello si coordinerà con altre due Chiese particolari confinanti con il nostro territorio, Pavia e Tortona, proprio per garantire questo servizio particolare in modo più "largo" alle tante situazioni di fragilità».

Una chiamata sul campo e in trincea verso chi soffre per don Massimo che non deve spaventare ma deve diventare uno strumento di concreto supporto a queste nuove fragilità. «Il nostro intervento che precede ciò che scientificamente si chiama "elaborazione del lutto" - spiega - sarà quello attraverso i primi tre incontri di aiutare queste persone ad accettare queste perdite traumatiche, di cercare di calmarle e farle sentire persone ascoltate. Speriamo così grazie a questi interventi mirati di far avvertire loro la presenza di qualcuno con cui parlare e affrontare le prime necessità». Un'emergenza quella di un lutto improvviso e così violento, che può mettere in crisi la stessa dinamica di vita ordinaria di altre persone dentro le mura domestiche.

«In molti casi spesso non si tratta solo di consolare queste persone e cercare di dare un senso a queste scomparse, ma dobbiamo "soccorrere" queste persone che spesso hanno loro stesse contratto il Covid-19 a rialzarsi, a prendere le medicine, a nutrirsi e curarsi, a quali terapie affidarsi in questi frangenti cruciali e difficili: sostenerle insomma in quel minimo livello di funzionamento delle loro esistenze».

Una frontiera di ascolto quella descritta da don Massimo che ha quasi il sapore della sfida. «È certamente così - è la riflessione finale - perché ci troviamo spesso di fronte a persone sole a cui dovere far accettare la morte in solitudine dei loro cari, visti per l'ultima volta spesso nel momento in cui sono stati caricati in tutta fretta su un'ambulanza e deceduti spesso in un "anonima" corsia d'ospedale. Mancando un rito di congedo come un tradizionale funerale con la Messa queste persone sono private della consapevolezza del saluto e del successivo distacco dai loro cari. È questo forse è per loro la ferita più dolorosa da accettare e da superare».

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