venerdì 14 novembre 2008
Dopo oltre 40 sedute a vuoto, il colpo di scena per la commissione di garanzia sulla Rai: viene eletto Riccardo Villari, senatore del Pd, con 21 voti di maggioranza e due di minoranza. È caos politico. 
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Alla fine dal cilindro della Vigilanza è uscito il nome di Riccardo Villari. Un esponente del Pd di area rutelliana votato ed eletto al terzo scrutinio con 23 voti sui 37 disponibili e con la maggioranza assoluta a 21. In pratica si è verificato l'annunciato blitz della maggioranza, coll'appoggio di almeno due voti dell'opposizione, già emersi al primo scrutinio. Mercoledì, proprio in seguito a quella prima votazione dopo 44 sedute andate a vuoto, Alessio Butti del Pdl era stato esplicito: «Il Pd ha 18 ore per cambiare candidato». Il riferimento era a Leoluca Orlando che Antonio Di Pietro, contro il parere degli alleati, ha blindato fino all'ultimo. Lo stesso Orlando, in una intervista rilasciata mercoledì sera, quando ormai si era compreso come sarebbero andate le cose, non ha fatto mistero di essere stato disponibile a un passo indietro ma di non aver potuto perché "precettato" dal partito. E fino all'ultimo Veltroni ha provato a far cambiare idea all'ex pm. Il capogruppo dell'Idv in Vigilanza, Massimo Donadi, si è persino rammaricato di non aver accettato la richiesta del Pd di presentare una rosa di nomi, come chiesto dall'Udc e dallo stesso Veltroni. Proposta che avrebbe disinnescato il congegno a orologeria che inevitabilmente stava portando la maggioranza a scegliersi il presidente, votando un esponente del Pd. Scelta che è caduta su Villari col consenso, però, di una parte della stessa opposizione. Ventuno dei ventitré voti a suo favore corrispondono infatti ai membri di Pdl e Lega presenti. Gli altri due voti sono da ascrivere a esponenti del Pd. I due commissari dell'Udc, Roberto Rao e Giampiero D'Alia hanno infatti dimostrato senza ombra di dubbio di essere stati fedeli all'accordo con l'Idv votando Orlando. Così come ha fatto il radicale del Pd Marco Beltrandi. Da qui l'evidenza che i due franchi tiratori sono uomini interni al partito di Veltroni. Un siluro doppio, quindi, in una partita che da qualche giorno, come risulta evidente anche dalla prima votazione di ieri (11 voti a Orlando su 16 disponibili dell'opposizione, 21 schede bianche, una nulla e un voto per Enzo Carra), si stava giocando a carte scoperte. Non appena dal cilindro è uscito il nome di Villari, molti esponenti dell'opposizione si sono detti convinti che si sarebbe dimesso subito. Poi hanno detto che loro lo avrebbero fatto certamente, quindi, lo hanno invitato a dimettersi. Dal canto suo il neo presidente ha detto che si sarebbe confrontato con i presidenti delle Camere e col Quirinale. E siccome il numero uno della Camera Renato Schifani è all'estero, ha fatto sapere, attraverso il suo ufficio stampa, che l'incontro avverrà al rientro. Da ieri, in sostanza, dopo sei mesi, la Vigilanza ha il suo presidente. Tirato in ballo come regista dell'operazione, Silvio Berlusconi ha spiegato di esserne fuori: «Abbiamo cercato un accordo. Avendo accettato di cambiare il candidato per la Corte Costituzionale, pensavamo che l'opposizione facesse altrettanto. Non è stato fatto e allora, per una scelta autonoma dei gruppi parlamentari, si è arrivati a questa elezione, alla quale sono stato assolutamente estraneo». Ora, ha detto Italo Bocchino del Pdl, citando Lucio Battisti, «eventuali dimissioni sarebbero un gesto istituzionalmente irresponsabile ma cosa accadrà lo scopriremo solo vivendo». Sempre nel Pdl Osvaldo Napoli, con un'opinione condivisa da esponenti del Pd come Enzo Carra, ha sottolineato che se Villari si dimettesse per «un editto di Veltroni» equivarrebbe a mettere la Vigilanza «nel tritacarne della peggiore partitocrazia». La sintesi per il Pdl l'ha fatta Maurizio Lupi: «Lo stallo in Vigilanza era dovuto ai rapporti fra Pd e Idv. Per uscire dalla paralisi abbiamo votato Villari con l'apporto di alcuni membri del Pd. Ora non accettiamo lezioni di democrazia da Veltroni».
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