martedì 17 aprile 2018
Il cardinale Montenegro ha aperto il convegno nazionale della Caritas. «Dobbiamo metterci in ascolto dei giovani e ritrovare uno stile di prossimità verso tutti»
Il cardinale Montenegro ha aperto il convegno nazionale
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Nella terra di due sacerdoti cui la Chiesa deve molto, la Caritas italiana ha aperto ieri ad Abano Terme il convegno numero 40. Oltre 600 partecipanti dalle diocesi italiane per quattro giorni dedicati sul tema 'Giovane è una comunità che condivide' in sintonia con il prossimo Sinodo dei vescovi. Papa Francesco, nel saluto pervenuto attraverso la Segreteria di Stato, ha ricordato con gratitudine monsignor Giovanni Nervo, primo presidente della Caritas, e monsignor Giuseppe Pasini, direttore per 10 anni, chiedendo di partire dall’ascolto dei giovani per arrivare alle periferie umane ed esistenziali.

Nel suo messaggio il presidente della Re- pubblica, Sergio Mattarella, ha chiesto aiuto per «costruire un umanesimo condiviso con dialogo e apertura, visioni e ideali per questo tempo nuovo ». Anche Luca Zaia, governatore del Veneto, dove un cittadino su quattro fa volontariato, ha ricordato le sinergie col mondo della Caritas. E di questo tempo in cui «noi tutti, e i giovani in particolare, quasi non siamo più protagonisti attivi della nostra vita» ha parlato il presidente della Caritas, cardinale Francesco Montenegro. I giovani per il cardinale sono una ricchezza. «Dobbiamo metterci in ascolto. Non possiamo invecchiare – ha proseguito l’arcivescovo di Agrigento – perché il Vangelo obbliga a restare giovani, ma rimettiamoci in gioco. Il servizio della carità è tessere legami, riannodare fili, ricreare calore attorno alle persone.

Le comunità cristiane vanno ricostruite a partire dai giovani, non diventino un ripostiglio. Rinnoviamo lo stile delle relazioni e della prossimità, consapevoli dei nuovi bisogni ». E cita in conclusione don Tonino Bello. «I poveri vanno serviti a tavola». La prolusione è stata fatta dalle storie di tre giovani guidati dalla giornalista Micaela Faggiani. Davide, studente bellunese di medicina è stato in Tanzania con il Gruppo diocesano di Missio.

«Per curiosità e per completare – ha raccontato – un percorso di studi razionale. Là ho incontrato suore che erano 'bombe' di gioia. Mi hanno insegnato che sorridere aiuta a non invecchiare e ad apprezzare cose per me scontate, come il miracolo dell’acqua che abbiamo scavato e fatto zampillare». Ingrid non è più giovanissima. Ha avuto una vita travagliata, ha ricevuto molto dalla Caritas e dalle Suore poverelle, ora vuole restituire. «Avevo tutto, studi in buone scuole e un buon lavoro. Ma nessuno aveva mai ascoltato i miei campanelli d’allarme». A 28 anni è diventata tossicodipendente e spacciatrice. «Non mi rendevo conto del male che facevo, ho preferito la droga a mia figlia, nata con una lieve sindrome di astinenza.

Dopo 10 anni di dipendenza e carcere, nessuno aveva più fiducia in me. Sono stata in una comunità di suore per tre mesi a fine pena, ho iniziato ad apprezzare le piccole cose, ad accettarmi». Sulla strada Alessandra, di Chioggia, ha imparato a non giudicare. Lei da 14 anni vede l’altra faccia del sabato sera con un’unità mobile fuori dalle discoteche. «Proponiamo uno spazio per una pausa dalle feste, con l’alcoltest. Andiamo nelle terze superiori a parlare di alcolismo, tossicodipendenza, azzardo. Sono gli stessi ragazzi poi a spiegare ai più piccoli». Alessandra si fida degli under 20. «Mettiamoci le loro scarpe e proviamo a camminare con loro».

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