sabato 23 dicembre 2023
A Trieste, nell’area degli ex magazzini, centinaia di persone in arrivo dalla rotta balcanica trovano a turno un primo rifugio. Le strutture sono al completo. Questa settimana sono partiti due pullman
Nel silos di Trieste dopo i due trasferimenti sono rimaste circa 100 persone

Nel silos di Trieste dopo i due trasferimenti sono rimaste circa 100 persone - Collaboratori

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Con le sue volte di pietra, i muri sbrecciati e le tende igloo precarie, piantate nel fango o nella polvere a seconda della stagione, il silos di Trieste sembra l’anticamera degradante in cui tocca restare, prima di conquistarsi un posto nel sistema di accoglienza nazionale. In quest’area di ex magazzini diroccati del porto vecchio, a un passo dal centro città, vive chi ha fatto ingresso in Italia dalla sua porta orientale e, dopo i tormenti della rotta balcanica, decide di fermarsi e non proseguire. Giovedì e venerdì, con due consistenti trasferimenti disposti dalla Prefettura, il silos è stato in parte svuotato. Circa duecento richiedenti asilo che erano rimasti esclusi dal sistema delle strutture di accoglienza e lì dentro vivevano, sono stati portati via su autobus. Inizieranno il nuovo anno altrove.

A raccontare dove è Lorena Fornasir, instancabile attivista impegnata nell’accoglienza in strada dei migranti, insieme ai volontari della Ong Linea d’Ombra: «Dai messaggi dei ragazzi con cui siamo rimasti in contatto, c’è chi è stato mandato in centri sulla costa romagnola e ora alloggia in una palestra, chi nell’hinterland milanese, chi vicino alla Svizzera, altri nel centro di Campo Sacro, fuori Trieset». Nell’area fatiscente dei magazzini dismessi restano in un centinaio. «Ci sono anche coloro che, pur presentandosi in Questura per chiedere di venire identificati, sono rinviati un giorno dopo l’altro, e rimangono in una posizione irregolare» aggiunge Fornasir. I migranti solo di passaggio, invece, di media tra i 10 e i 15 al giorno, ripartono con il primo treno del mattino. Sono afghani, bengalesi, pachistani, ma anche cittadini del Kashmir, e famiglie siriane e curde di Siria.

I trasferimenti compiuti questa settimana non sono usuali. «Sono superiori nei numeri a quelli che hanno caratterizzato gli ultimi mesi, anche se non gli unici di queste dimensioni. Un precedente simile risale alla fine di agosto» spiega il giurista triestino Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà. «Mi auguro si sia trattato di un segnale, ma si vedrà solo nelle prossime settimane se costituirà una tendenza a un’intensificazione, e dunque al tentativo di rimediare al disastro fatto nel recente passato, con trasferimenti limitati e periodi lunghi del tutto senza, come accaduto ad ottobre. La situazione aveva raggiunto un livello di gravità inaudita a inizio dicembre, con almeno 420 richiedenti asilo senza posto in accoglienza» prosegue. Da anni ormai, sin dal 2015, le persone migranti si accampano al silos.

Qualcosa è cambiato dalla tarda estate del 2022, quando si è manifestata «come mai in precedenza la gravissima inefficienza istituzionale nel rispondere a una prassi di trasferimenti». Eppure per avere un ordinario piano di trasferimenti «basterebbe pochissimo», è convinto Schiavone. Le domande di asilo presentate a Trieste negli ultimi mesi sono in media di sei al giorno. «Non si può sostenere, senza cadere nel ridicolo, che la Prefettura di Trieste non riesca a trovare posto a pochi richiedenti». Gli arrivi a Trieste, pur significativi (almeno 16.000 quest’anno), rappresentano un flusso per ampia parte solo di passaggio.

«Nel corso del 2023 - puntualizza il giurista – il 75% di queste persone (ma andiamo ormai verso il 90%) ha deciso di proseguire. Agli occhi di chi giunge dalla Rotta Balcanica, l’Italia non viene percepita come Paese in cui stabilirsi. Questa tendenza ora è in ulteriore accentuazione, forse anche per la politica di deterrenza messa in atto, perché non fornire accoglienza per settimane o mesi non può essere frutto di incapacità organizzativa». Il passato indica che, con una buona organizzazione dei trasferimenti, i posti già disponibili in accoglienza erano e potrebbero ancora essere sufficienti. «Fare accumulare gli arrivi e creare un’emergenza, che per noi è artificiale, sono le modalità tipiche della strumentalizzazione dei flussi. A Trieste sono manifeste e visibili più che altrove».



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