martedì 18 novembre 2008
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Una decisione storica, destinata a fare giurisprudenza nella lotta alle morti sul lavoro. Per la prima volta in Italia qualcuno dovrà rispondere dell'accusa di omicidio volontario in un processo per un incidente in fabbrica. È Harald Espenhahn, l'amministratore delegato della Thyssenkrupp, la multinazionale dell'acciaio famigerata per l'incendio che devastò lo stabilimento di Torino causando la morte di sette operai. Dopo una udienza di quasi cinque ore, ultima di una lunga serie iniziate la scorsa estate, ieri il Gup del Tribunale di Torino, Francesco Gianfrotta, ha rinviato a giudizio il manager tedesco, a cui è stata riconosciuta anche l'accusa del dolo eventuale. Il 15 gennaio davanti alla Corte d'Assise - anche questa una novità per questo genere di processi - compariranno anche tutti gli altri cinque imputati. Il gup ha infatti rinviato a giudizio, oltre alla Thyssen come persona giuridica, anche Gerald Prigneitz, Marco Pucci, Giuseppe Salerno, Daniele Moroni e Cosimo Cafueri, dipendenti a vario livello della Thyssen. L'accusa nei loro confronti è di omicidio colposo con colpa cosciente. Contestate a tutti anche l'omissione dolosa di cautele antinfortunistiche. «È una sentenza storica, non c'era mai stato un processo per omicidio volontario su un incidente sul lavoro. Il giudice ha accolto in pieno le nostre tesi», ha detto soddisfatto il pm Raffaele Guariniello, che ha coordinato l'accusa condotta anche dai pm Laura Longo e Francesca Traverso. Nell'ordinanza di rinvio a giudizio, infatti, il gup Gianfrotta sostiene - proprio come l'accusa - che, nonostante Espenhahn fosse a conoscenza dei problemi dello stabilimento torinese, «dapprima prendeva la decisione di posticipare gli investimenti antincendio», poi «posticipava ad epoca successiva al suo trasferimento da Torino a Terni l'adeguamento della linea 5 (quella dove è scoppiato l'incendio fatale, ndr) raccomandata dall'assicurazione e dai vigili del fuoco». In pratica, sempre secondo quanto scritto nell'ordinanza di rinvio a giudizio, l'amministratore delegato della Thyssen sapeva della possibilità che si verificassero infortuni sul lavoro e «ha accettato il rischio». «Questa disposizione di giudizio " si affretta a dire la difesa del manager tedesco, sostenuta dall'avvocato Ezio Audisio " troverà un suo ridimensionamento, una sua ricollocazione in tematiche più consone a questo e ad altri casi analoghi. Restiamo convinti - prosegue - che l'imputazione debba essere diversa, di tipo colposo». Non la pensano ovviamente così i genitori, i figli e le mogli dei sette operai uccisi dall'incendio dello scorso 6 dicembre. «È la nostra prima grande vittoria», dicono con le lacrime agli occhi subito dopo aver ascoltato la lettura della decisione del Gup nelle aule del Palagiustizia di Torino. Soddisfatto anche Antonio Boccuzzi, l'unico superstite dell'incendio che oggi è parlamentare: «Speriamo che questa decisione " è il suo commento " rappresenti davvero uno spartiacque. Speriamo che tante cose cambino in Italia, a cominciare dal comportamento di quelle aziende che non rispettano le più elementari norme di sicurezza sul lavoro». E la madre di una delle vittime, Rosario Rodinò, punta l'indice anche contro i legali degli imputati: «Durante tutta l'udienza - dice - hanno masticato il chewin-gum. E quando parlava il giudice ridacchiavano. Ma che rispetto è per i nostri morti? Si devono vergognare, non siamo a Zelig».
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