giovedì 27 dicembre 2018
Monsignor Antonino Raspanti ha incontrato la disperazione della gente rimasta senza casa e il parroco, don Mirco, scampato al crollo
Il vescovo Antonino Raspanti

Il vescovo Antonino Raspanti

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Monsignor Antonino Raspanti, vescovo di Acireale, ha raggiunto i luoghi maggiormente colpiti dal sisma quando ancora era buio, poco dopo l’accaduto. Prima tappa la frazione di Pennisi, a nord-ovest di Acireale, dove era stato segnalato il crollo del campanile.

Quale è stata la sua prima sensazione?

Per qualche attimo sono rimasto senza parole, fortemente provato dalla scena apocalittica nella quale spiccava tra le macerie la statua di Sant’Emidio che, tra l’altro, è il protettore dai terremoti. Il racconto del parroco, don Mirco, scampato alla tragedia ha fatto il resto, assieme alla disperazione delle decine di abitanti della zona rimasti senza un tetto.

Qualcosa l’ha colpita in particolare?

Tutto il contesto mi ha provocato dolore perché ho visto persone anziane e bambini in mezzo alla strada, dormire sulle macchine, come sempre accade in questi momenti. Parecchi che a Pennisi guardavano la chiesa, il campanile caduto, e piangendo o tristi dicevano tra loro: 'Questo è il segno più grande che avevamo, purtroppo non lo abbiamo più'. Anche questo mi ha lasciato sgomento.

Come ha vissuto la notte del terremoto e le ore immediatamente successive?

Ho avvertito in maniera nitida la scossa e compreso immediatamente la portata dell’evento sismico, davvero rilevante. La paura è stata notevole, tanto per l’entità che per la durata, in quanto il terremoto sembrava non dovesse finire mai. Poi, insieme con il vicario, monsignor Giovanni Mammino, ci siamo organizzati per recarci sui luoghi colpiti e abbiamo toccato con mano l’entità dell’accaduto. Non ci sono state vittime e questo è un segno tangibile; pensate cosa sarebbe accaduto se il sisma si fosse verificato nelle ore precedenti, quando le chiese erano affollate da fedeli per la ricorrenza del Natale.

Cosa si sente di dire alle popolazioni colpite e a quanti si stanno prodigando per lenire i disagi?

Esprimo grande vicinanza a tutte le famiglie che sono tante e dormiranno in luoghi di fortuna. E, poi, ringrazio tutti coloro che si sono mossi all’insegna della solidarietà, dalle forze dell’ordine, ai vigili del fuoco e alla protezione civile nonché i sindaci e le Amministrazioni dei nostri Comuni colpiti. Tutti sono stati tempestivi e di questo sono ulteriormente grato.

In circostanze come queste cosa si può temere, in particolare?

Speriamo che tutto il piano di sostegno entri bene in funzione e dia la possibilità alle comunità colpite di riprendere al più presto la vita normale. Però, al momento possiamo parlare soltanto di emergenza e, sotto questo aspetto, sono vicino a quanti stanno soffrendo per avere subìto danni ingenti alle loro abitazioni, costruite a prezzo di ingenti sacrifici, impiegando i risparmi di una vita e risorse di ogni genere.

Ritiene si possa essere fiduciosi rispetto all’azione delle istituzioni oppure il rischio dell’inerzia è sempre concreto?

Poco dopo l’accaduto, al rientro dalla mia visita alle popolazioni colpite, ho avviato una serie di contatti con il prefetto, Claudio Sammartino, ed il sindaco di Acireale, Stefano Alì. Ho ribadito loro che in questo momento occorre dare fiducia alla gente e determinare le condizioni perché prenda subito il via la opportuna sinergia con i vari enti pubblici preposti all’accoglienza, all’assistenza e alla ricostruzione. La Caritas ha subito provveduto a recitare la sua parte, la Cei sono certo che interverrà prendendo a cuore la situazione generale delle popolazioni colpite. Sono importanti le prime necessità, ma è indispensabile anche non fare sentire le persone scoraggiate o, peggio ancora, isolate. La cooperazione, in questo momento, è fondamentale e, sotto questo aspetto, confidiamo nell’impegno di tutte le istituzioni chiamate a lenire i disagi di quanti, purtroppo, sono stati toccati dall’evento calamitoso.

Tra le comunità colpite cosa ha potuto cogliere?

Per ora ho rilevato soltanto un clima di emergenza misto a disperazione. La gente, poi, dice che è abituata, perché alle pendici dell’Etna si vive sempre così, ma questo non toglie il grande disagio e la grande paura vissuti. Dobbiamo tutti adoperarci, ciascuno per le proprie competenze, e cercare di reagire attraverso gesti concreti. Il mio pensiero è rivolto anche a quei fedeli che andranno incontro al disagio di non potere disporre delle loro chiese per pregare e, sotto questo aspetto, penso non solo agli abitanti di Fiandaca, Pennisi, Santa Venerina ma anche dei centri vicini. Per loro, innanzitutto, dobbiamo rimboccarci le maniche e guardare subito al domani. Questo aspetto l’ho colto e mi lascia ben sperare per una pronta ripresa.

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