mercoledì 26 luglio 2023
Il vice presidente del Consiglio e ministro degli Esteri e della Cooperazione: Non cambieremo il mondo con una conferenza, ma il documento finale è una vera “dottrina” per orientare la nostra politica
Il ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale Antonio Tajani

Il ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale Antonio Tajani - ANSA

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Si chiude oggi per il Governo italiano un lungo periodo in cui siamo stati impegnati nella preparazione e nella gestione di due conferenze internazionali organizzate a Roma negli ultimi 4 giorni. La prima è stata la “Conferenza su sviluppo e migrazioni” voluta dal presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e organizzata domenica alla Farnesina. In parallelo, l’Italia ha lavorato alla preparazione e all’organizzazione dell’ “ UN Food Systems Summit” delle Nazione Unite, da lunedì ad oggi.

Alcune riflessioni a caldo: la conferenza è stata importante innanzitutto per noi italiani. Non cambieremo il mondo con una conferenza. Ma nei mesi, proprio per preparare questo atto iniziale del “piano Mattei”, noi italiani abbiamo messo a confronto le nostre idee, le abbiamo armonizzate all’interno del governo, per provare poi a costruire un approccio da condividere con le nazioni del Mediterraneo allargato. L’Italia quindi si è aperta e ha invitato Paesi amici. A Roma non siamo stati soli: c’erano tutti i leader della sponda Sud del Mediterraneo, c’erano gli Stati Ue del “5 Med”, che sono i Paesi di primo approdo delle migrazioni irregolari, assieme ad alcuni partner del Sahel e del Corno d’Africa, ai paesi arabi del Golfo, assieme ai leader della Ue e di tutte le istituzioni finanziarie internazionali.

Tutti hanno risposto all’invito, all’appello di Roma al confronto. Sottolineo fra l’altro che il documento finale è qualcosa che innanzitutto il Governo italiano dovrà rispettare: sarà la base per orientare le nostre politiche future. Una vera “dottrina” per orientare la nostra politica nazionale. Un primo segnale all’esterno: dobbiamo affrontare la questione dello Sviluppo attraverso una mentalità diversa rispetto al passato. Come ci ha ricordato il presidente Giorgia Meloni, troppo spesso l’Occidente ha dato l’impressione di essere più attento a dare lezioni, piuttosto che a dare una mano. E come ha ricordato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, la recente intesa dell’Europa con la Tunisia può costituire un importante modello per avviare nuovi partenariati.

Dovremo impegnarci nella lotta ai trafficanti di migranti, ma dovremo anche agire insieme per ampliare i canali di migrazione legale. Perché l’Italia e l’Europa hanno certamente bisogno di migranti, ma hanno bisogno di gestire i loro arrivi e non possono lasciare i migranti e l’Europa stessa in balia dell’illegalità. Insisto: non c’è possibilità di contrastare i flussi irregolari senza affrontare le cause profonde che spingono le popolazioni a spostarsi. Saremo in grado di avviare un ciclo virtuoso? Lo vedremo, Ma intanto le idee maturare alla conferenza sono queste.

Primo punto: i partecipanti a questo che abbiamo chiamato “Processo di Roma” concordano di promuovere un modello di sviluppo diffuso, non predatorio e sostenibile, nei Paesi di origine e di transito della migrazione irregolare. Un modello basato su iniziative di lotta alla povertà e di protezione sociale, per creare posti di lavoro e formazione delle competenze, garantire servizi essenziali e lottare insieme contro i cambiamenti climatici. Dovremo rafforzare le iniziative di cooperazione bilaterale, multilaterale ed in ambito europeo già esistenti, per evitare duplicazioni. Ovvero: dobbiamo razionalizzare impegni in una direzione concordata, lo sviluppo sociale ed economico dei Paesi che devono essere sostenuti.

Secondo punto: il contrasto all’immigrazione irregolare deve tener conto che alla base vi sono sfide globali da affrontare collettivamente e in modo condiviso. Non basteranno azioni securitarie nazionali. Bisogna rafforzare le misure per prevenire e contrastare i flussi migratori irregolari, ma bisogna soprattutto evitare la perdita di vite umane e dovremo combattere i trafficanti di migranti via terra e mare.

Terzo: agiremo per promuovere una mobilità legale verso l’Europa e per il sostegno ai processi di integrazione. Potenziare campagne di comunicazione e informazione per sensibilizzare su rischi e pericoli della migrazione irregolare. Dovremo promuovere politiche mirate alla possibile introduzione di regimi per i visti di ingresso calibrati sui paesi di origine. Assicurare un sistema di rilascio dei visti accessibile, efficiente e trasparente da parte dei Paesi di destinazione per promuovere scambi “ people to people’’, in particolare per quelle categorie che non pongono rischi di migrazione irregolare.

Quarto punto: bisognerà promuovere iniziative e misure per la protezione internazionale di coloro che ne hanno bisogno, inclusa l’istituzione di percorsi legali e sicuri basati sul modello dei corridoi umanitari da migliorare ed espandere a livello europeo nel rispetto della sovranità e degli ordinamenti nazionali. Faccio a questo punto alcune considerazioni generali, legate anche alla “costruzione” diplomatica che abbiamo voluto creare. Il formato della Conferenza di Roma è nuovo, ma inclusivo e quindi aperto alla partecipazione anche di altri, desiderosi di portare propri contributi costruttivi. Buona parte dei Paesi che si sono riuniti a Roma sono essi stessi Paesi di origine, di transito e destinazione. Fino a ieri c’erano da una parte i Paesi di origine e di transito; dall’altra, i Paesi di destinazione. Domenica abbiamo fatto un passo importante verso il superamento di questi steccati artificiali.

Dobbiamo ragionare e agire insieme. Grazie alla Conferenza abbiamo registrato poi la volontà dei nostri partner nella regione di rilanciare un’autentica cooperazione nella lotta alle reti criminali che gestiscono il traffico di esseri umani. Queste reti sono diffuse e transnazionali e possono essere sconfitte soltanto attraverso una più intensa ed efficace cooperazione a livello internazionale. Ancora: abbiamo dato voce alla comune, profonda sensibilità per la dimensione umana del fenomeno migratorio a partire dalle sue manifestazioni più drammatiche.

Penso alle tragiche immagini di morte che ci sono giunte in questi giorni dal deserto del Nord Africa. Immagini evocate anche nelle parole del Santo Padre nel suo Angelus di domenica. Parole che ho voluto ripetere nella Conferenza e che ci richiamano ad una mobilitazione collettiva per combattere contro questa nuova forma di schiavitù moderna. Una schiavitù alimentata anche dai gravissimi problemi securitari che continuano ad affliggere il Sahel e l’Africa Occidentale, come il perdurare del terrorismo e del fondamentalismo islamico. Concludo con una immagine: il “Processo di Roma” non è la soluzione, è un incubatore. È una costruzione in cui potremo unire le forze per avviarci su un percorso di sviluppo economico, di collaborazione politica, di lotta alla criminalità. Ma soprattutto di umanità e di rispetto.


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