giovedì 24 novembre 2022
Nella Giornata contro la violenza sulle donne lanciata la campagna #EioTiPubblico per scoraggiare la misoginia online. La sociolinguista: "Le parole contano, il linguaggio può battere il patriarcato"
La sociolinguista Vera Gheno

La sociolinguista Vera Gheno - .

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Tu mi offendi? #EioTiPubblico. I professionisti dell’offesa sessista sono avvisati: da oggi scatta per loro una nuova gogna mediatica, lanciata dalla deputata Laura Boldrini, oggetto spesso e volentieri di linguaggio d’odio e misoginia online. Alla vigilia delle Giornata contro la violenza sulle donne, l’invito a tutte è di non lasciare impuniti quanti feriscono con la tastiera e seminano danni talvolta irreparabili, soprattutto sulle più giovani. Se non si vuole o non si può denunciare (perché sì, l’odio in rete può configurarsi come un reato), almeno si possono rendere pubblici, rilanciandoli, i post di chi vuole, con l’insulto, umiliare, intimidire e cancellare dal dibattito pubblico le donne. Femminicidio e offese misogine non sono la stessa cosa, è ovvio, ma, come dice ad Avvenire Vera Gheno, sociolinguista, autrice di vari saggi tra cui Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole (Effequ, 2019), “esiste una piramide della violenza di genere che nella parte più bassa e più larga è basata sulle parole che sono usate nei confronti delle donne e alle diversità in senso più ampio”.

Vera Gheno, anche lei ha aderito all’iniziativa #EioTiPubblico. Perché?

Perché anch’io vengo spesso attaccata, in pubblico e in privato, con nomignoli offensivi, insulti sessisti, auguri di stupro e di morte, il tutto condiviso con la sicurezza di non subìre alcuna conseguenza. Penso anche che l’idea di avere la libertà di scrivere certe affermazioni all’indirizzo di una persona, di una donna, sia il primo passo verso altre possibili forme di degenerazione violenta. Se una volta pensavo che fosse meglio lasciar correre, ora c’è un effetto accumulo. L’esposizione continua a discorsi d’odio affatica a dismisura.

Al di là degli insulti sessisti, in che modo le disparità di genere radicate nella nostra società vengono rispecchiate dal e nel linguaggio comune?

In molti modi. Ad esempio quando si omette il titolo professionale di una donna, chiamandola “signora”, sottolineando invece quello maschile. Ciò è sintomo di una visione patriarcale della società, in cui le donne devono fare solo le “signore”, non le professioniste. Secondo esempio è il cosiddetto mansplaining, quando cioè gli uomini si sentono in dovere di spiegare alle donne cose che loro sanno già benissimo. Terzo esempio è quello di cui abbiamo già parlato: il modo schizofrenico di offendere le donne.

C’è un modo specifico di offendere le donne?

Sì, entrando nel campo semantico del meretricio, con tutte le sue varianti. Oppure fantasticando sulla vita sessuale. Un esempio: se una donna esterna la sua rabbia, allora è sessualmente frustrata oppure l’esatto contrario.

In effetti Laura Boldrini, lanciando la campagna #EioTiPubblico, ha pubblicato un florilegio di offese ricevute sui social: quasi tutte di natura sessuale… Come se ne esce?

Dobbiamo prendere atto che la nostra è ancora una società patriarcale e androcentrica. Le parole non uccidono, certo, ma sono la cartina di tornasole della nostra società. Se ne viene fuori con un maggior controllo del nostro linguaggio, con un uso più consapevole e responsabile.

Non diminuirebbero i femminicidi, però.

No certo, ma le parole sono un veicolo di cultura, conoscenza e visione della realtà; quando se ne fa un uso responsabile, nella testa delle persone si aprono scenari e narrazioni diversi. Le parole insomma possono creare circolo virtuosi.

C’è poi il tema della narrazione giornalistica di fatti di cronaca in cui le donne sono vittime. Dove sbagliamo?

Sebbene gli strumenti deontologici per il controllo e l’autocontrollo ci sono, purtroppo avvengono spesso degli automatismi. Un esempio: nel triplice femminicidio di Roma, c’è stato uno squilibrio del racconto, tutto centrato sulla ricostruzione del personaggio del killer, della sua vita disordinata, l’uso di droga. Delle vittime a lungo non si è saputo nulla. Penso anche a situazioni non legate alla cronaca nera: quando per una donna dal profilo pubblico si usa il nome di battesimo anziché il cognome, specialmente se è affiancata a un uomo: il presidente Biden e Kamala, Luca Parmitano e AstroSamantha. L’invito a tutti è di fare caso alle parole: non solo il 25 novembre, ma tutto l’anno.

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