venerdì 23 marzo 2018
La rete voluta dall'Associazione delle famiglie (Afi) privilegia acquisti convenienti da recapitare a domicilio. Creando lavoro per un gruppo di padri di famiglia disoccupati
Foto dall'archivio Ansa

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La solidarietà non vuole sconti. Chi decide di entrare in una rete Gaf (Gruppi di acquisto familiare) non punta al 3x2, ma fa una scelta 'politica'. Con la sua opzione ribadisce cioè che la famiglia, anche quando fa la spesa, è soggetto sociale, economico e, quindi, anche politico. Se poi i criteri seguiti per gli acquisti sono quelli del consumo consapevole, del rispetto del lavoratore e dell’ambiente, anche la convenienza non è disprezzabile.

Ma come è possibile che l’acquisto di un etto di prosciutto, quattro zucchine e due scatole di biscotti sia così rilevante da diventare addirittura una decisione politica? Ci sono varie strade per rendersene conto. La più immediata è quella di trascorrere un po’ di tempo con un gruppo di ex disoccupati che, proprio grazie alle scelte economiche di un centinaio di famiglie solidali, hanno potuto ritrovare, con la dignità del lavoro, anche la fiducia in se stessi.

Siamo a Limbiate, hinterland milanese, nel magazzino messo a disposizione da una parrocchia. Una decina tra uomini e donne smista la merce consultando il 'foglio d’ordine', inscatola, sigilla, spedisce. Poi con i furgoni la spesa arriverà al domicilio chi l’ha ordinata. La stessa procedura insomma già da tempo adottata dai colossi della grande distribuzione. Stesso metodo, profondamente diverso l’obiettivo. Fare la spesa qui, via web naturalmente, vuol dire aiutare le persone più sfortunate a diventare protagoniste del proprio riscatto. Ma, allo stesso tempo, mettere a fuoco una consapevolezza decisiva: le scelte di ogni famiglia pesano sul futuro di tutti.

La ricetta dei gruppi di acquisto familiare – progetto Afi, associazione delle famiglie – è tanto semplice da apparire banale. Però era necessario che qualcuno ci pensasse e fosse disposto a dedicare tutto il suo tempo libero, e non solo, per trasformarla in buona prassi a disposizione di tutti. In questo caso la persona ha il volto e il cuore di Cesare Palombi che fa parte del direttivo nazionale Afi.

«Questo progetto è partito in sordina – racconta – ma oggi coinvolge già una decina di piccoli Comuni della Brianza milanese. Abbiamo poi definito accordi per trasferire l’esperienza Gaf in realtà più importanti come Sesto San Giovanni e, entro il 2018, Milano». All’orizzonte poi spuntano altre aree del territorio nazionale dove Afi è presente, tra cui Veneto, Emilia, Calabria. Facile comprendere che quanto più si allargherà l’esperienza, tanto più numerose saranno le persone aiutate. I numeri parlano chiaro. Oggi, grazie a un centinaio di famiglie che fanno la spesa attraverso i Gaf, è stato possibile offrire un lavoro part-time a 14 persone. «Abbiamo scelto di puntare su over 35 disoccupati con figli, italiani o immigrati», continua Palombi.

Indicazioni chiare anche per la scelta della grande distribuzione. Solo marchi della rete Confcooperative – quindi Unes, U2, Sigma. Famila – perché «ci assicurano un controllo di filiera trasparente che da un lato offre garanzie ambientali e di rispetto dei lavoratori, dall’altro mette al riparo da rischi legati all’infiltrazione delle cosiddette agromafie». E sarebbe strabico un impegno solidale che ignorasse il riferimento della legalità. «E poi – osserva ancora il responsabile dell’iniziativa – il ritiro della spesa diventa occasione di incontro e si attivano relazioni di buon vicinato e mutuo autoaiuto. Le persone che hanno la possibilità di tornare a lavorare non sono oggetto di semplice assistenzialismo».

C’è insomma un differenza profonda tra la distribuzione di pacchi viveri – comunque benemerita – e la logica a cui si ispira la rete Gaf che, attraverso la promozione umana, punta alla riqualificazione della persona. E con i Gas (gruppi di acquisto solidale) c’è qualche parentela? «Sono realtà importanti e lodevoli – conclude Palombi – ma puntando sulla qualità, sul km zero e sulla sostenibilità ambientale spesso sono costretti a imporre prezzi che per le nostre famiglie sono troppo elevati. Magari un giorno potremmo arrivarci. Al momento la grande distribuzione 'etica', con i criteri a cui sopra facevamo riferimento, ci consente il compromesso più accettabile».

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