venerdì 24 febbraio 2017
Vincenzo Antonelli, docente di diritto alla Luiss: «L’intento è scardinare la legge, che prevede un’alleanza tra gestante e medico, non certo un dissidio»
«Si utilizza una decisione amministrativa a fini politici»
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«Una questione giuridica rilevante e attuale». Sulla natura del bando che discrimina i medici non obiettori, Vincenzo Antonelli non ha dubbi. E se lo dice lui, docente di diritto amministrativo e sanitario alla Luiss di Roma, è difficile non riflettere.

Professore, qual è il problema di fondo?
Che in questo caso si utilizza una decisione amministrativa, e cioè la pubblicazione del bando, per raggiungere un fine politico. Cosa significa? La legge 194 del 1978 riconosce l’obiezione, e già opera un equilibrio tra la libertà del medico e la volontà della donna. Pubblicare un simile bando significa tentare di eludere la norma, dunque introdurre un elemento che i rappresentanti della volontà popolare non avevano voluto considerare: la divisione dei medici in obiettori e non obiettori, con carriere separate.

Sembra quasi che la Regione abbia voluto compiere una scelta creativa…
Sì, ma non è certo nelle sue competenze. La disciplina dell’obiezione di coscienza non rientra nelle competenze legislative regionali Stato, alle Regioni spetta solo l’organizzazione dei servizi sanitari. Secondo molti, questo bando discrimina i medici. Certamente. Ma a mio avviso crea un meccanismo ancora peggiore: mette contro medico e gestante, ed è la cosa più sbagliata. Non bisogna dare l’impressione che vi siano due libertà antagoniste, ma valorizzare al massimo l’alleanza tra la donna e il sanitario. Ed è ovvio che presentare un medico con il marchio “obiettore” o “non obiettore” risulta assolutamente fuori da questa visione.

Tecnicamente, quali parole usa il bando per discriminare i medici non obiettori?
È nel particolare che si annida l’equivoco. Il bando prevede l’assegnazione di un posto di dirigente medico per l’applicazione della legge 194/78 sull’interruzione di gravidanza e impone al candidato di essere «disponibile» a prestare il servizio. Non utilizza i termini “obiettore” o “non obiettore”, perché in questo caso la discriminazione sarebbe stata palese. Preferisce richiamare in modo criptico quella legge e imporre al candidato la disponibilità ad applicarla.

A senso unico però: quella legge presenta l’aborto non come un servizio, ma come ultima spiaggia in una situazione drammatica.
Ed è proprio così. Tra l’altro, più che per l’assunzione di un medico ostetrico, sembra un bando per la gestione del presunto servizio d’interruzione di gravidanza. E poi bisogna considerare che l’amministrazione pubblica dovrebbe ricercare un medico perché vale, e non sulla scorta del fatto che sia o meno obiettore.

Mettiamo che un medico non obiettore vinca quel posto, e poi maturi un diverso convincimento. Cosa gli potrebbe succedere? Se l’impiego è avvenuto con un bando simile, il rifiuto di procedere a un’interruzione di gravidanza farebbe venir meno il motivo stesso dell’assunzione. Tecnicamente sarebbe dunque un caso d’inadempimento contrattuale, da cui potrebbe scaturire il licenziamento.

Se invece a sollevare obiezione di coscienza fosse un qualsiasi altro ostetrico d’Italia?
Verrebbe tranquillamente destinato a far altro, all’interno della stessa struttura ospedaliera. Ma è proprio questo il problema romano: che l’assunzione è esclusivamente finalizzata all’interruzione volontaria di gravidanza, e non al servizio di ostetricia e ginecologia della struttura ospedaliera.

Su tutta questa vicenda aleggia un sospetto: che si voglia sponsorizzare il San Camillo come centro di riferimento per gli aborti.
Una cosa è certa: la vera sfida di un buon ospedale è quella di potenziare tutti i servizi per la tutelare la salute dei pazienti. Madri e bimbi compresi.

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