venerdì 26 gennaio 2024
Il caso dell'astensione in Consiglio regionale apre un dibattito nel Partito democratico tra linea aperta originaria e linea dura identitaria: punto centrale la libertà di coscienza e la pluralità
Quale Partito democratico, plurare o identitario? Elly Schlein, segretaria del Pd, dovrà affrontare la questione

Quale Partito democratico, plurare o identitario? Elly Schlein, segretaria del Pd, dovrà affrontare la questione - Ansa

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Si può indugiare su forma e metodo anche all’infinito, ma la domanda-chiave del caso Bigon resta una soltanto: è ancora previsto, in un grande partito plurale come il Pd, l'esercizio della libertà di coscienza sulle questioni sensibili? Sono quelle domande da «sì» o «no», dove non c’è spazio per i «ma», tantomeno per curiose teorie secondo cui la libertà di coscienza è legittima solo quando non incide sull’esito finale di una votazione.

Se il Pd confermerà la sua linea originaria e fondativa, che dichiara il rispetto di tutte le sensibilità sui temi più divisivi, allora è lecito attendersi non solo la “riabilitazione” di Anna Maria Bigon, ma anche un “ammonimento” verso il segretario provinciale del Pd veronese, Marco Bonfante, e un chiarimento definitivo della segretaria Elly Schlein, che nelle ore successive al voto in Veneto aveva definito una «ferita» la scelta di Bigon.

Se invece i vertici del Pd decideranno di usare la vicenda veneta per affermare una rigida linea “identitaria” sui temi sensibili, o per intimorire e silenziare chi ha una posizione diversa da quella della leader, allora il chiarimento dovrà arrivare, giocoforza, da chi nel partito ci sta proprio perché certo, sinora, di non dover dare voti “contro coscienza” e di poter trovare mediazioni solide con altre aree culturali.

Certo non potrà durare troppo a lungo il giochino di derubricare tutto a «faccenda locale». Anche perché, senza chiarimenti in un senso o nell’altro, lasciando la questione in una voluta ambiguità, quanto accaduto in Veneto rischia di trasformarsi in un autogol per l’intero Partito democratico, sia per chi lo guida sia per chi in questo momento ci sta dentro con diverse “sofferenze”.

Il rischio, per i vertici dem, è di consegnare al centrodestra un’altra fetta di elettorato moderato. Il rischio, per chi sta in “minoranza” nel Pd, è di risultare ininfluente e dunque non più rappresentativo di importanti sensibilità politiche e culturali. Ma il vero autogol, per il Pd, sarebbe quello di destrutturare il proprio Dna plurale anziché provare a “stanare” chi, dall’altra parte del campo, nel nome della compattezza della coalizione di destra-centro rinuncia a prescindere a esercitare la propria libertà di coscienza su temi parimenti “sensibili” come le migrazioni, la pace, il contrasto all’evasione, la cura dell’ambiente.

Insomma il vero autogol, per i dem, potrebbe essere quello di non marcare più il proprio profilo di moderno partito politico europeo per inseguire il modello leaderistico dei propri avversari. Per poi scoprire ancora una volta, a cose fatte, che tra le copie e l’originale gli elettori preferiscono sempre l’originale. Non deve temere, invece, il Pd, che la propria discussione interna sui temi sensibili rafforzi i partiti che si collocano al centro tra i due poli. A quanto pare, queste formazioni sembrano non considerare i temi sensibili tra i dossier su cui evidenziare, dinanzi ai cittadini-elettori, il proprio tasso di moderatismo.

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