martedì 3 febbraio 2009
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Al mattino, come tutti noi, apriva gli occhi. Più tardi, come capita a tanti disabili, veniva sottoposta a fisioterapia. Nel pomeriggio, quando il tempo lo permetteva, è accompagnata in giardino per la passeggiata. Ecco la quotidianità di Eluana. Fino a quando è stata trasferita a Udine, dove è morta. IL RISVEGLIO Risveglio: per tutti noi un gesto quotidiano, l’alzarci dal letto e affrontare una nuova giornata. Per le persone in stato vegetativo invece una parola che assume tutto un al­tro significato: se avvenisse, vorrebbe dire il ritorno a una vita piena e consapevole... Risveglio: la meta agognata da parenti che attendono anni, a volte decenni. Il 'miracolo' che una volta ogni tanto avviene. Di recente è successo alle porte di Milano: Massimiliano, rimasto nel suo limbo lontano per oltre un decennio, ha improvvisamente alzato un braccio e ha ri­preso la trama della vita dal punto in cui l’aveva lasciata, da un gesto antico quanto la sua esi­stenza, quell’abbraccio con cui prima dell’incidente cingeva il collo di sua madre per baciarla. Per Eluana 'questo' risveglio non c’è stato.  Ma anche lei, come tutti, salutava il mattino con la prima azione di ogni uomo vivo: a­priva gli occhi. Chi si immaginava Eluana come un essere inanimato, un corpo sempre dormiente, era lontano da una realtà molto più semplice e in fondo commovente: i grandi occhi neri di E­luana ad ogni sorgere del sole si aprivano al mondo. Si richiudevano solo all’arrivo della sera... LA FISIOTERAPIA Non c'erano macchinari intorno al letto di Eluana, non monitor, non grovigli di fili, né spettrali bip bip, freddi e disumani come echi di un altro mondo. Il suo letto aveva solo lenzuola candide e biancheria profumata: nulla più. E intorno al suo corpo si davano da fare a turno quattro fisioterapisti: non stava mai 'ferma', Eluana, grazie a loro, e così braccia e gambe erano tornite, non avvizzite e magre, il viso era paffuto, la pelle morbida come un velluto. Ogni giorno le suore la spalmavano di creme e pettinavano i suoi capelli ancora nerissimi... «Staccare la spina», si è detto, ma si faceva presto: non c’era niente che si potesse staccare, perché Eluana a niente era 'attaccata' se non, tenacemente, alla vita. Non le hanno nemmeno ferito la gola con la tracheotomia, perché respirava come tutti noi, autonomamente, non c’era traccia di cannule o tubi, niente che la potesse infettare con tremori di febbre... Era una disabile grave, ma non aveva malattie. Lo ha ammesso anche il neurologo Defanti, amico di suo padre - «è una donna molto sana». Troppo. Perché morisse non restava che negarle cibo e acqua, renderla 'terminale' per fame e per sete: un sistema infallibile. LA PASSEGGIATA Se a Eluana fosse stata concessa un’altra primavera, fra tre mesi al primo tepore del sole avrebbe potuto scendere di nuovo in giardino. Aria buona e pulita dopo un inverno trascorso in camera. Da anni e anni ci pensavano le suore, a volte qualche amica, spesso suo padre, a portarla nel verde che circonda la clinica, sulle sponde del lago di Lecco, seduta sulla sedia a rotelle. Era la stessa casa di cura in cui ormai tanti anni fa sua madre l’ha partorita, il primo ambiente che i suoi occhi hanno visto... da quindici anni era anche la sua casa. Eluana, con quella sua vita ai minimi termini, aveva bisogno di poco, quasi di niente, un niente cui le suore aggiungevano un surplus di amore: parole, silenzi, carezze, piccole e continue attenzioni. Le sentiva Eluana? Dietro il suo muro di incomunicabilità forse il fruscio di quelle vesti, le voci ormai note, il contatto di quelle mani familiari le davano sensazioni e sicurezza: là ' fuori' qualcuno la vegliava. Nessun neurologo, nessuno scienziato ha mai saputo varcare la soglia misteriosa e valutare quanta coscienza resti a questi pazienti. Loro, quando ne escono, raccontano: «Sentivamo tutto, non sapevamo dirvelo».IL RIPOSO Sognava Eluana la notte? Se lo sono chiesto medici e neurologi, ma risposta non c’è. Forse notte e giorno nel suo limbo erano indistintamente un lungo strano sogno mai interrotto, chissà. Quel che è certo è che anche Eluana come tutti noi quando era sera chiudeva i grandi occhi neri e si addormentava. Notte e giorno, veglia e sonno, senza confondersi mai, e al calare del buio anche il suo corpo chiedeva riposo alla fine di una giornata come tante. Un sonno tranquillo, senza incubi, ed era proprio mentre dormiva che un sottile sondino le instillava lentamente quella linfa vitale che chiamano 'alimentazione e idratazione', ma che sono solo cibo e acqua. Goccia a goccia ogni sera per ore entravano in lei e il suo corpo le assimilava, si nutriva, cresceva, viveva. Era il suo unico ausilio, l’unica richiesta: negargliela significava ucciderla. E infatti è questo il metodo previsto dai 'protocolli' giudiziari per condurla alla morte, gli stessi che l'hanno uccisa. Nel silenzio della sera il mistero si infittiva, i dubbi crescevano. Sulla parete della stanza erano incorniciate tante Eluane, belle, sorridenti, giovani, piene di vita, maliziose, allegre, spensierate: crudele guardare quelle foto e chiedersi in che piega era nascosto il sorriso di diciassette anni fa. Eluana - la sua anima - giocava a nascondino, ma da qualche parte c’era. Che cosa viveva in sé Eluana di ogni singola giornata? Che cosa ha avvertito? A volte ha sussultato, altre ha sospirato, talvolta ha persino teso la bocca in un sorriso, ma era poi un sorriso? Inutile farsi domande, impossibile darsi risposte, Eluana era viva, e questo bastava. Fino a stanotte.
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