giovedì 17 ottobre 2019
Sarebbero stati loro a colpire gravemente, in tre occasioni a luglio, sei giovani africani che all'alba andavano al lavoro nei campi. Il procuratore: violenza reiterata e gratuita
Il volto tumefatto di Kemo Fatty, 22 anni, dopo l'aggressione con una pietra

Il volto tumefatto di Kemo Fatty, 22 anni, dopo l'aggressione con una pietra

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Li hanno individuati e presi. Dopo appena tre mesi sono stati arrestati i responsabili delle aggressioni a sassate ai braccianti immigrati nella periferia di Foggia. Si tratta di due giovani foggiani, Pasquale Verderosa, 22 anni e Antonio Salvatore Doniaquio, 21 anni. Sarebbero stati loro in almeno tre occasioni, il 15 e il 23 luglio, a colpire sei giovani africani che all’alba si stavano recando nei campi in bicicletta. Tutti feriti, il più grave, Kemo Fatty, 22 anni del Gambia, operato due volte per la ricostruzione totale dello zigomo e dell’occhio, non ha completamente recuperato la vista. Fatti gravissimi, non banali ragazzate. I due sono stati posti agli arresti domiciliari, con le accuse di lesioni personali pluriaggravate, propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa. In altre parole, violenze aggravate da motivazioni razziste.

«Lo avevamo detto che non sottovalutavamo quei fatti, e avevamo assicurato il nostro massimo impegno – ci tiene a ricordare il procuratore di Foggia, Ludovico Vaccaro –. Voglio sottolineare la gravità di una violenza reiterata e gratuita, nei confronti di povera gente che stava andando a lavorare, commessa da chi invece gironzolava all’alba senza far niente. Questi ragazzi non avevano alcun motivo per tirare pietre ai migranti se non l’odio razziale».

Una riflessione che fa anche il gip Michela Valente. «Gli indagati – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare – hanno mostrato una spiccata propensione a delinquere, impermeabile al tempo ed ai danni arrecati alle vittime. Si dimostravano sprezzanti della vita e della incolumità altrui, adusi a sbeffeggiare ed esercitare violenza ai danni di soggetti deboli che alle prime luci dell’alba si recavano con le biciclette a lavorare nei campi. Il programmato, reiterato e gratuito ricorso alla violenza dà contezza di personalità incuranti delle conseguenze del proprio agire, e della concreta possibilità di provocare anche la morte delle vittime».

Uno due arrestati, Antonio Salvatore Doniaquio, ha già dei precedenti violenti. È indagato per aver investito alcuni poliziotti a un posto di blocco. E sempre un’auto, quella utilizzata per le aggressioni, è stata determinante per individuare i due responsabili. Utili alle indagini, condotte dalla Polizia, sono state le indicazioni delle vittime che, come abbiamo scritto allora, raccontavano di aver visto un’auto di colore scuro dalla quale partiva il lancio delle pietre. La Polizia è riuscita a identificare il modello dell’auto e poi anche la targa grazie alle immagini delle telecamere posizionate nella zona. Si tratta dell’auto del padre di uno degli arrestati. Ulteriori riscontri sono arrivati dai cellulari degli arrestati che risultavano aver agganciato le cellule di quella zona proprio in quei giorni e in quelle ore. Preziosa è stata anche la collaborazione delle vittime che hanno descritto con molti particolari le aggressioni e riconosciuto uno dei responsabili. Una dimostrazione di coraggio che potrebbe favorire l’acquisizione del permesso di soggiorno per motivi di giustizia.

Ma tutto questo non basta per risolvere «il dramma di tante persone disperate – aggiunge il procuratore – vittime di caporali e sfruttatori. Per sconfiggere questo fenomeno si devono eliminare i ghetti, creando piccoli insediamenti, prevedendo trasporti dedicati ai lavoratori e sistemi efficienti di incrocio di domanda e offerta di lavoro». Altrimenti resterà solo la bicicletta, come quella delle vittime delle aggressioni.

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