sabato 30 giugno 2018
«Disastro in atto» nella cava in cui è stato ucciso il sindacalista Soumaila Sacko. Salta la prescrizione. Legambiente: ora le bonifiche
L'area dell'ex fornace, dove sono interrate 135mila tonnellate di rifiuti tossici

L'area dell'ex fornace, dove sono interrate 135mila tonnellate di rifiuti tossici

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Si allontana la prescrizione per la discarica di rifiuti pericolosi nella ex fornace di San Calogero dove il 2 giugno è stato ucciso il migrante Soumaila Sacko. Lo ha deciso, un po’ a sorpresa, il giudice Marina Russo del Tribunale di Vibo Valentia nell’ultima udienza del processo a 12 imputati accusati di disastro colposo. Fissando però la prossima udienza al 7 febbraio 2019. Decisioni che richiederebbero ora un rapido e deciso intervento almeno per la messa in sicurezza del luogo, ed evitare danni all’agricoltura della zona. Ministero dell’Ambiente? Prefettura? Regione? Arpac? Qualcuno deve attivarsi. Perché il disastro è in atto, come ha deciso il giudice.

Ricordiamo che nell’azienda in località "Tranquilla", la procura di Vibo Valentia trovò nel 2009 ben 135mila tonnellate di ceneri di centrali elettriche, piene di metalli pesanti e idrocarburi. Dovevano servire per costruire mattoni, ma in realtà erano rifiuti pericolosi che vennero ammucchiati nel piazzale e in parte sotterrati. Scattò il sequestro dell’intera area ma il processo è partito solo nel 2013 ed è andato avanti molto lentamente, soprattutto per i gravi problemi del Tribunale di Vibo Valentia. «Le solite lentezze vibonesi», le ha definite il procuratore di Cosenza, Mario Spagnuolo, allora alla guida della procura di Vibo. Il rischio della prescrizione è via via cresciuto fino a essere considerato quasi ineluttabile. Un esito doppiamente negativo: niente giustizia e bonifica a rischio. Come ha spiegato ad Avvenire venti giorni fa Spagnuolo, «con la prescrizione i responsabili non pagheranno neanche i costi del risanamento, ben 25 milioni, che finirà sullo stomaco del contribuente italiano». Danno e beffa. Invece il giudice Russo ha riaperto altri scenari. E lo ha fatto ipotizzando non il primo comma ma il secondo dell’articolo 434 del Codice penale sul disastro colposo.

La differenza è sostanziale poiché nel primo caso si tratta del “pericolo di disastro” (pena da uno a cinque anni), mentre nel secondo si parla di “disastro avvenuto”, con una pena che può arrivare fino a 12 anni di reclusione, con una prescrizione quindi più lunga (15 anni). Non un rischio di disastro insomma, ma un disastro in atto. C’è dunque ancora tempo per riuscire a giungere ad un giudizio e avere responsabili riconosciuti. Responsabili della più grande discarica abusiva d’Europa di alcune sostanze altamente pericolose, ma anche di un affare da 18 milioni di euro, perché tanto sarebbe costato il loro regolare smaltimento.

Le difese degli imputati avevano invocato la prescrizione, il giudice ha deciso che, invece, si deve andare avanti. «È un’ottima notizia, una decisione molto importante», commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, che si è costituita parte civile nel processo assieme al Wwf e al comune di San Calogero. «Ora noi chiederemo al giudice – aggiunge – che contesti anche il reato di omessa bonifica, previsto dalle nuove norme sugli ecoreati. È possibile farlo anche per fatti avvenuti prima dell’approvazione della legge del 29 maggio 2015. La mancata bonifica è, infatti, un reato che si compie anche oggi, malgrado la discarica abbia più di dieci anni».

Se il giudice lo accettasse si allungherebbero ulteriormente i tempi di prescrizione e si potrebbe invece accelerare quelli della bonifica. Purtroppo anche dopo l’omicidio del giovane maliano che ha fatto riparlare di questo disastro, nessuno si è mosso almeno per andare a controllare i danni provocati al territorio, ai campi, uliveti e agrumeti che circondano la ex fornace. Sarebbe importante a questo punto un’iniziativa del ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, in passato in prima linea nelle indagini sulla Terra dei fuochi. Per far monitorare l’area e per stimolare chi deve operare la bonifica. Grazie alla decisione del giudice i tempi del processo non sono scaduti, ma quelli dell’ambiente non sono infiniti.

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