sabato 19 marzo 2022
La straziante odissea da Karkhiv al confine moldavo di una donna e i suoi due figli superstiti per sottrarre la più piccola alle fosse comuni e darle cristiana sepoltura
Una donna di Kharkiv in un rifugio

Una donna di Kharkiv in un rifugio - Ansa

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A Kharkiv e nei villaggi intorno, nel Nord-est dell’Ucraina, le bare di legno non si trovano più e i cadaveri vengono avvolti in grandi sacchetti neri di plastica per essere gettati nelle fosse comuni. Centinaia, in città, i civili uccisi finora dai missili russi, decine i minori finiti sotto le bombe. Nello strazio di una guerra senza pietà, tra le vittime innocenti che aumentano a dismisura a ogni ora che passa, c’è anche una bambina di 5 anni, Oxana, travolta dalle macerie di un palazzo nella zona residenziale.

Il suo corpicino senza vita stava per essere lanciato insieme ad altri dagli addetti alla sicurezza in una di quelle buche scavate nella terra, nelle campagne della Sloboda. Una fossa comune come quelle che si stanno moltiplicando in ogni parte del Paese, nuove voragini dell’umanità e dell’Occidente. Ma la madre non ha voluto quella fine per la sua piccola Oxana, l’ha trascinata via.

Desiderava per la piccola una sepoltura cristiana, un luogo dove poter andare a trovarla, a parlarci, come ogni genitore fa con un figlio strappato in modo innaturale – troppo presto – alla vita. Voleva una tomba da accarezzare. Per farlo, però, doveva scappare da quell’inferno mamma Polina, mentre il marito combatte al confine con chi ha deciso di resistere. Doveva fuggire per portare in salvo gli unici “tesori” che le sono rimasti: i due figli maschi di 7 e 9 anni. Così la donna ha preso la macchina, ha nascosto il fagottino con il corpo di Oxana nel baule e affrontato con i due figli un viaggio di quasi mille chilometri per recarsi a Chortkiv, un borgo nella regione di Ternobyl, verso le frontiere con la Romania e la Moldavia. Una meta sicura, dove trovare conforto.

Per distribuire gli sfollati dalle città più colpite dagli attacchi militari russi nelle località del Paese non ancora coinvolte direttamente dal conflitto, infatti, il ministero degli Affari Sociali ucraino ha organizzato un esodo di donne, bambini e anziani in strutture di accoglienza pubbliche: a Polina e ai suoi ragazzi è toccato di andare alla “Dim Myloserdia” (Casa della Misericordia) di Chortkiv. Si tratta di un istituto per minori disabili fisici e psichici e per famiglie che dipende dall’italiana “Fondazione don Carlo Gnocchi” e dalla locale diocesi: un luogo dove le bombe non sono ancora arrivate, una Casa che è stata scelta come rifugio per un centinaio di persone dopo che i suoi piccoli ospiti sono stati trasferiti in Italia, a Pompei e Grosseto per essere curati e assistiti meglio.

Ma non è stata un’impresa facile per Polina raggiungere la città (28mila abitanti) sulle rive del fiume Seret, perché tutte le strade dell’Ucraina, spesso interrotte o disastrate dai bombardamenti, sono piene di posti di blocco e di “check-point” presidiati dalle milizie armate e se si incontra una pattuglia di soldati russi o qualche cecchino senza scrupoli può essere la fine per chi si muove a bordo di un mezzo privato. Ammesso che si riesca a evitare le lunghe colonne di veicoli che spesso si formano in direzione delle frontiere con Polonia, Romania e Moldavia. Le auto inoltre diventano spesso il bersaglio di razzi lanciati apposta anche a lunga distanza dai carri BM2-21 “Grad” russi per colpire i civili in fuga, come sarebbe accaduto il 15 marzo a Zaporozhye, un attacco che ha provocato morti e feriti anche tra i bambini.

Ma Polina, una mamma coraggio, non si è persa d’animo: il suo viaggio è durato più di tre giorni ma alla fine, dopo tanta fatica, per fortuna o per destino, ce l’ha fatta. La donna è arrivata a Chortkiv sana e salva – ma esausta – insieme con i suoi due ragazzi ed è stata accolta dalla presidente della “Dim Myloserdia”, Tetyana Dubyna, e dagli altri responsabili della struttura dove la famiglia alloggerà finché sarà possibile.

E il corpicino di Oxana, dopo aver ricevuto l’ultimo bacio della mamma e la benedizione del parroco, è stato finalmente sistemato in una cassa e tumulato nel cimitero del paese. Sopra la tomba è stata messa una croce con il suo nome: un simbolo sacro ma anche un segno della memoria, davanti al quale Polina tutti i giorni ora può pregare.

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