martedì 25 luglio 2023
Secondo Il promotore di giustizia, sono provati i capi di accusa anche su caso Marogna e soldi alla cooperativa di Ozieri. La difesa del cardinale: "Teoremi. Non c'è lo straccio di una prova"
Un momento dell'udienza del 25 luglio

Un momento dell'udienza del 25 luglio - Vatican Media

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Diventa sempre più incandescente, durante il processo in Vaticano sui fondi delle segreteria di Stato, lo scontro tra il promotore di giustizia, Alessandro Diddi, i legali del cardinale Becciu e lo stesso porporato, che oggi ha detto: «Mi sento sfregiato come uomo e come prete, non mi stancherò di ripetere la mia innocenza». Diddi concluderà domani, mercoledì 26 luglio, la sua requisitoria (protrattasi per sei udienze) con la richiesta delle condanne. Gli argomenti usati finora vengono contestati dalla difesa di Becciu che parla di «accuse basate solo su teoremi». Secondo i legali, infatti, «il Pg persevera nel tentativo di fabbricare un racconto concretamente privo di alcuna logica e, soprattutto, di prove che lo dimostrino".

​La dura requisitoria

Il magistrato vaticano ha nuovamente accusato Becciu di aver orchestrato una campagna mediatica contro gli inquirenti. "La strategia del cardinale Angelo Becciu è che bisogna interferire con le indagini, non interagire con i magistrati - ha ribadito -. Questo è stato il suo modus operandi, sempre, da subito fino ad oggi". "Da parte di Becciu - ha continuato - c'è stata pervicacia nell'utilizzare anche la leva mediatica come una specie di clava per delegittimare la figura e l'operato del promotore di giustizia. I magistrati restano il principale obiettivo della strategia difensiva del card. Becciu". "Che questo ufficio sia fatto di 'puzzolenti' e 'porci' è uscito sulla stampa italiana - ha ricordato Diddi - ed emerge dalle chat. Non c'è stato mai un atto di resipiscenza da parte del cardinale su questi giudizi. Sono amareggiato per il livello a cui il cardinale ha potuto abbassare questo processo, senza il minimo gesto leale nei nostri confronti".

Il magistrato si è poi soffermato sulle ipotesi di peculato a carico del cardinale in relazione alle vicende di Cecilia Marogna e della cooperativa sarda Spes gestita dal fratello Antonino, definendo "provati' i capi d'imputazione. Per quanto riguarda la Marogna, Diddi ha sostenuto che la donna era stata accreditata in Segreteria di Stato come "analista geopolitica" senza averne alcun titolo, grazie solo all'amicizia con Becciu. "Una vicenda patetica, un'autentica patacca", l'ha definita. E per quanto riguarda i 575 mila euro versati alla donna dai conti Ior della Segreteria di Stato, finiti in spese personali e voluttuarie, persino soggiorni in lussuosi resort ("erano soldi che dovevano destinati alla carità - ha detto - e inviati alla dona per 'finalità umanitarie'"), il pg ha ricordato i tentativi falliti di Becciu di avere dal Papa la manifestazione di una sua autorizzazione, per l'uso che doveva essere finalizzato alla liberazione della suora colombiana rapita in Mali. "Un tentativo malriuscito di dare copertura a un'operazione di distrazione di fondi della Segreteria di Stato - ha aggiunto - e che a quest'ultima ha dato anche disdoro".

Sul caso Spes e sui 225 mila euro inviati dalla Segreteria di Stato sul conto 'promiscuo' della Caritas di Ozieri - anche qui l'accusa è "peculato per distrazione" - Diddi ha sostenuto che non era la Spes il "braccio operativo" della diocesi di Ozieri, ma piuttosto la stessa diocesi "una propagazione" della Spes, poiché era lo stesso Becciu, "anche da lontano, a gestire la sua diocesi". "La diocesi non era più autonoma - ha ribadito - ma si doveva muovere in funzione degli interessi della cooperativa". Sempre secondo il Pg vaticano i 225 mila euro inviati dalla Segreteria di Stato sul conto 'promiscuo' della Caritas di Ozieri è stato ricordato tra l'altro che quel conto, che non sarebbe mai stato autorizzato dal vescovo dell'epoca Sergio Pintor e che vi furono movimenti sospetti. Secondo il Pg, «il cardinale Becciu con la sua intervista del 24 settembre 2020 ha detto che quei soldi li ha erogati su disposizione del Santo Padre. Cosa che il Papa nega». Ed è per questa ragione che lo avrebbe privato delle prerogative dal cardinalato e della carica di prefetto per le Cause dei santi.

​La reazione del cardinale

La sdegnata reazione del cardinale e dei suoi difensori non si è fatta attendere. "Ciò che mi ha più ferito è stato che il promotore di giustizia non ha portato uno straccio di prova per suffragare le sue accuse, ma mi ha descritto in modo assolutamente deformante, finendo per sfregiare la mia figura di uomo e di prete", ha commentato il porporato in merito all'udienza di oggi, martedì 25 luglio. "Respingo con sdegno e ribrezzo - ha aggiunto - le frasi insinuanti e offensive sulla mia vita sacerdotale e di servitore del Papa! Non può un uomo che si vanta di operare a nome del Papa cadere in simili bassezze".

A loro volta i legali di Becciu sottolineano: "Anche oggi abbiamo assistito a un susseguirsi di suggestioni che poco ha a che fare con la ricerca della verità ed il bilancio delle prove, teoremi lontani dalla realtà dei fatti e da quanto dimostrato - hanno detto gli avvocati Fabio Viglione e Maria Concetta Marzo -. Siamo certi che i toni, i modi, il linguaggio di questo promotore di giustizia non siano condivisi nella Santa Sede, che le espressioni ripugnanti utilizzate dal professor Diddi non possano trovare approvazione da parte di Papa Francesco e di sua eminenza il cardinale di Stato Pietro Parolin. Il cardinale è innocente, lo abbiamo dimostrato e non è alzando i toni e usando epiteti offensivi che si può cambiare la realtà".

​L'udienza di lunedì 24 luglio

Nell'udienza precedente, Diddi si era soffermato sulla posizione di monsignor Mauro Carlino, che ha accusato di aver concorso in maniera fattiva all'estorsione di Gianluigi Torzi, in relazione ai 15 milioni di sterline versati al broker dalla Segreteria di Stato perché uscisse dalla proprietà del palazzo di Londra e dalle mille quote che aveva, le uniche con diritto di voto contro le trentamila della Santa Sede che invece ne erano prive. Tra l'altro Diddi ha contestato il fatto che Carlino avesse "il mandato del Santo Padre", quando invece il Papa, durante le trattative in Vaticano, aveva indicato di dare a Torzi "la giusta mercede", che secondo il promotore di giustizia era solo "per chiudere la storia" e non poteva certo essere pari a 15 milioni di sterline. "Non sia infangata la Suprema Autorità", ha intimato Diddi, secondo cui un imputato in un processo ha anche il diritto di mentire, ma non di calunniare altri.
Sempre Diddi ha parlato poi di aspetti residui riguardanti la posizione di Tommaso Di Ruzza, ex segretario generale dell'Aif, l'Autorità di informazione finanziaria vaticana. Il promotore di giustizia aggiunto Gianluca Perone ha affrontato invece i presunti reati addebitati a Enrico Crasso, per anni consulente della Segreteria di Stato per gli investimenti finanziari, e in particolare le asserite truffe con l'aggravante del conseguimento di pubbliche erogazioni, che avrebbero riguardato tra l'altro il Fondo Centurion gestito da Crasso. L'altro promotore di giustizia aggiunto Roberto Zannotti ha parlato invece dei casi di presunto riciclaggio e auto-riciclaggio addebitati a Raffaele Mincione, Fabrizio Tirabassi, Nicola Squillace e Gianluigi Torzi.

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