giovedì 27 settembre 2018
Le amministrazioni dove si trovano le centrali nucleari dismesse chiedono chiarimenti al governo sulle zone adatte a ospitare il deposito unico nucleare. Servono il nullaosta di due ministeri
L'ex centrale nucleare del Garigliano nel comune di Sessa Aurunca, in provincia di Caserta (Archivio Ansa)

L'ex centrale nucleare del Garigliano nel comune di Sessa Aurunca, in provincia di Caserta (Archivio Ansa)

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Dimenticato da tutti, il deposito unico nazionale per la gestione dei rifiuti radioattivi torna a far parlare di sé per merito dei sindaci delle centrali nucleari dismesse. Durante l’audizione che si è svolta martedì davanti alla commissione Industria del Senato, presieduta da Gianni Pietro Girotto del Movimento Cinque Stelle, la sindaca di Caorso, Roberta Battaglia, coordinatrice della Consulta dei Comuni sedi di impianti nucleari, ha chiesto all'esecutivo e al Parlamento di accelerare sulla «pubblicazione della Carta delle aree potenzialmente idonee ad ospitare il deposito nazionale». Il fantasma del sito unico si aggira per l’Italia ormai da diversi anni ed è significativo che a chiedere notizie in merito siano stati proprio i primi cittadini che vivono direttamente sul proprio territorio le lentezze e i ritardi legati all'uscita del nostro Paese dalla travagliata stagione dell’atomo.

Per arrivare all'indicazione delle zone adatte a ospitare il deposito unico nucleare, è infatti necessario il nullaosta di due ministeri: quello dello Sviluppo economico e quello dell’Ambiente. Nullaosta che non è mai arrivato, dopo che a marzo l’allora titolare uscente dell’Industria, Carlo Calenda, aveva annunciato l’arrivo imminente di un decreto in materia. In realtà è tutto fermo da allora e nessun segnale concreto è stato lanciato dall'attuale governo, se non una generica dichiarazione del ministro Sergio Costa, che ha parlato a inizio legislatura di «aggiornamento» della mappa. Poi, più nulla.

Il nodo da sciogliere riguarda la sistemazione definitiva e la messa in sicurezza di circa 78mila metri cubi di rifiuti radioattivi a bassa e media attività, la cui radioattività decade a valori trascurabili nell'arco di 300 anni. Di questi rifiuti, circa 50mila metri cubi derivano dall'esercizio e dallo smantellamento degli impianti nucleari per la produzione di energia elettrica e circa 28mila dai settori della ricerca, della medicina nucleare e dell’industria. Il dossier è stato tecnicamente completato da Sogin, società controllata dal Tesoro, mentre l’iter per la sua realizzazione richiederà molti anni. «I cittadini, specie quelli vicini agli attuali siti temporanei sono preoccupati e temono – ha spiegato la coordinatrice dell'Anci – di trovarsi davanti a soluzioni di lunga permanenza». Il riferimento è al fatto che le scorie nucleari, senza l’individuazione del deposito, resterebbero 'parcheggiate' per molti anni presso le vecchie centrali, mentre rimarrebbe un’incognita anche il destino dei materiali residui del riprocessamento delle scorie all'estero.

«Per queste sostanze vanno subito individuate soluzioni alternative» al fine di «evitare che, in attesa del deposito nazionale, tornino nei siti di loro originaria provenienza » ha spiegato Battaglia. Il timore più grande è che i Comuni che ospitano impianti nucleari vengano dunque lasciati soli, in una transizione che si annuncia lunghissima visto il silenzio generale piombato sul caso. Non a caso i sindaci chiedono di «consentire ad Anci, governo e Sogin di avviare una serie di incontri formativi per preparare la popolazione al percorso partecipativo necessario all'individuazione del sito». Sanno benissimo, infatti, che un tema del genere deve essere affrontato con gradualità e per tempo, per evitare che decisioni prese dall'alto possano scatenare, com'è già accaduto in passato, forti proteste nelle comunità locali.

DA SAPERE SULLE CENTRALI DA SMANTELLARE
Il 'decommissioning' di un impianto nucleare è l’ultima fase del suo ciclo di vita. Questo termine riassume le operazioni di mantenimento in sicurezza degli impianti, allontanamento del combustibile nucleare esaurito, decontaminazione e smantellamento delle installazioni nucleari, gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi, caratterizzazione radiologica finale.

Il tutto avviene in attesa dell’individuazione del deposito unico nazionale, questione su cui nel nostro Paese si dibatte da tempo, senza significativi passi in avanti. L’insieme delle attività del 'decommissioning' ha l’obiettivo di riportare i siti a 'prato verde', cioè ad una condizione priva di vincoli radiologici, rendendoli disponibili per il loro riutilizzo.

Il deposito nazionale è un’infrastruttura ambientale di superficie dove mettere in sicurezza i rifiuti radioattivi. La sua realizzazione consentirà di completare definitivamente lo smantellamento degli impianti nucleari italiani e di gestire tutti i rifiuti radioattivi, compresi quelli provenienti dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca. Il deposito nazionale è stato pensato contestualmente a un nuovo parco tecnologico: un centro di ricerca dove svolgere attività nel settore della gestione dei rifiuti radioattivi e dello sviluppo sostenibile in accordo con il territorio.

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