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Imagoeconomica
«Diventare mamma cambia la tua prospettiva perché quando abbracci quell’esserino capisci che è la cosa più bella e importante del mondo e ti metti in secondo piano, ma non è una cosa brutta….anzi ti arricchisci come persona, scopri una nuova te». Anna Chiara ha 32 anni, fa la biologa in un ospedale e vive a Monza. È diventata mamma da poco più di un anno fa e le brillano gli occhi quando parla del suo piccolo che ride sempre e ha portato la gioia in famiglia. «Sono felicissima» ammette. Quando andava a scuola, mentre le compagne avevano le idee chiare sugli studi e la carriera lei si sentiva spaesata perché non sapeva cosa voleva fare, ma sognava di essere mamma. «Alla fine ho studiato biologia, ho fatto ricerca e trovato un lavoro a tempo indeterminato che mi piace molto» racconta. A quel punto, era già sposata da quattro anni, con il marito ha deciso di allargare la famiglia. Da “scienziata” ha vissuto la gravidanza in maniera oggettiva, pensando di tornare subito al lavoro. «Mi prendevano in giro tutti, mi dicevano: vedrai che cambierai idea». E così è stato: ha allungato il periodo di maternità di qualche mese e poi ha affidato il bimbo ai quattro nonni, in attesa del nido che frequenterà a settembre. «Diventare mamma è una magia che ti fa tornare indietro - spiega Anna Chiara -, a quando eri piccolo, ti spinge a metterti in gioco in un modo diverso perché ti devi relazionare non con degli adulti ma con un nuovo essere, re-imparando tutto da capo anche tu». Essenziale in questo percorso l’aiuto della famiglia, in questo caso quattro nonni, ma anche la rete di amicizie, il confronto tra mamme conosciute al corso pre-parto o al parco. Anna Chiara sa di essere fortunata e sta già pensando ad avere un altro figlio. Non per tutte però il percorso di conciliazione, quello stare in “equilibrio” tra vita professionale e maternità, è così semplice. Inutile nascondersi dietro un dito: il tasso di natalità in Italia è in caduta libera (1,18 figli per mamma con un record negativo di nascite nel 2024 con appena 370mila neonati) perché mancano gli aiuti concreti in termini di servizi e sostegni economici. Il risultato è che prima di pensare ad un figlio una donna deve avere una posizione lavorativa consolidata. Il primo bimbo arriva in media a 31,6 anni con piccole oscillazioni a livello territoriale e spesso rimane l’unico. Tenere insieme gli impegni quotidiani è una sfida impegnativa. Soprattutto se non si può contare sull’aiuto dei genitori o di altri familiari. Lo sa bene Teresa, anche lei 32 anni. Si è trasferita da Torino a Cuneo dopo il matrimonio, fa l’infermiera in un ospedale e ammette di aver pensato seriamente a dare le dimissioni dopo essere essere diventata mamma. Cosa che fa parentesi fa il 18% delle donne.
«Nell’ospedale dove lavoro siamo in pochi, io sono stata assunta dopo un concorso quando ero incinta, prima lavoravo nel privato. Mi sono trovata in difficoltà quando dovevo rientrare, ero pronta a gettare la spugna ma mio marito mi ha esortato a tenere duro» spiega. È stata una dirigente donna ad “intercettare” la sua difficoltà proponendole quel part-time che Teresa non aveva neanche osato chiedere. «Una soluzione mediana che per me è fondamentale perché credo che i bambini nei primi due anni di vita debbano stare il più possibile con i genitori». Il suo piccolo adesso ha un anno e mezzo e va all’asilo mezza giornata, il pomeriggio lo passa con la mamma. «Avere un figlio è un’esperienza bellissima che ti cambia la vita ma c’è anche molta fatica che nessuno racconta io ho tante amiche mamme che hanno deciso di licenziarsi, altre che hanno fatto scelte di vita differenti, senza aiuti oggi non è facile tenere insieme tutto».
Francesca ha 40 anni e vive in un paesino sul lago di Varese. Ha due bimbi di 8 e 5 anni, una passione per la montagna e un lavoro part-time che le ha letteralmente “salvato” la vita. «Avere dei figli è stata una scelta maturata dopo anni di matrimonio, per me è sempre stata una cosa importante e sono contenta di vederli crescere insieme, sono molto uniti» racconta. La parte più bella sono le coccole serali e il tempo che si passa insieme all’aria aperta. «Sono entusiati quando stiamo tutto il giorno in montagna a camminare, non avrò una casa perfetta, anzi è sempre disordinata, ma le nostre “avventure” del week-end ci danno l’energia per affrontare la settimana». Anche per Francesca la mancanza di un sostegno familiare si è fatta sentire: il primo figlio è andato all’asilo a pochi mesi perché lei aveva un lavoro full time, la seconda maternità, grazie alla pandemia e all’esperienza, è stata più facile. La banca privata dove lavora come assistente, l’ha messa in smart-working permanente. «Quando sono rientrata mi hanno proposto il part-time ed è stata la svolta per me. Ho alcune amiche della mia età che la maternità l’hanno messa in stand-by perché non si sentono pronte. Io dico che i figli bisogna farli con un pizzico di incoscienza perché se si pensa a tutte le difficoltà non si trova il coraggio». Anche per lei la solidarietà al femminile, il mutuo aiuto tra pari, rappresenta una rete di protezione indispensabile. L’unione fa la forza, è proprio il caso di dirlo, e le mamme equilibriste, che poi sono praticamente tutte, sanno quando devono tenderti una mano.
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