mercoledì 3 marzo 2021
Ogni ora un nuovo caso nel piccolo paese piemontese, blindato da giorni. Il rettore: preghiera e silenzio
Il paesino di Re, nel comune di Verbano-Cusio-Ossola

Il paesino di Re, nel comune di Verbano-Cusio-Ossola - Wiki commons

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Sul ciglio della strada che porta in Svizzera c’è un metro di neve ghiacciata, ma non è il freddo pungente a tenere in casa gli abitanti di Re. Da ben oltre una settimana, il microscopico comune del Verbano-Cusio-Ossola è stato dichiarato zona rossa, enclave piemontese di massima sicurezza in una Regione che è si è mantenuta ancora per qualche giorno gialla, prima di tornare ad essere arancione. Sabato scorso la zona rossa è stata estesa ad altri Comuni contigui della Val Vigezzo, come Craveggia, Villette, Toceno, Malesco, Santa Maria Maggiore e Druogno: le misure restrittive aggiuntive dei giorni scorsi non hanno ottenuto i risultati sperati e nell’area si rileva ancora un tasso di incidenza molto elevato, il doppio rispetto al tasso medio delle tre settimane precedenti. La decisione è stata assunta dal governatore Alberto Cirio con i rappresentanti degli enti locali, in seguito all’improvvisa comparsa di un consistente numero di casi di Covid in proporzione alla popolazione.

«A Re – aveva spiegato Cirio – su circa 750 abitanti sono emersi 37 soggetti positivi negli ultimi sette giorni. Non sappiamo ancora se questi casi siano dovuti a una variante, ma è comunque una incidenza molto elevata e abbiamo ritenuto necessario intervenire per tutelare la salute delle persone che popolano la vallata». In paese si continua a uscire soltanto per andare a comprare qualcosa da mangiare, nell’unico negozio di alimentari presente da anni.

Anche la grande basilica dedicata alla Beata Maria Vergine del Sangue, secolare meta di pellegrinaggi, in questi giorni resta chiusa. Il santuario, costruito nel luogo in cui nel 1494, secondo la tradizione, avvenne il sanguinamento miracoloso del piccolo affresco della Madonna del Latte, colpito da una pietra lanciata da un uomo in preda alla rabbia, per una delle prime volte nel corso della sua lunga storia, è costretto a restare chiuso. «Qui ci conosciamo tutti. Quando è stato deciso il blocco, è arrivato direttamente il sindaco ad avvisarmi. Non avrei mai pensato – racconta il rettore, padre Giancarlo Julita – di vedere il santuario completamente vuoto. Nelle domeniche estive arrivavano tremila persone, almeno duecentomila pellegrini all’anno, oltre ai visitatori occasionali e di passaggio. Quando sono arrivato qui, nel 1988, ho fatto costruire una cripta perché la chiesa, per quanto già molto grande, non era abbastanza capiente. Era necessario accogliere in contemporanea i gruppi di tedeschi e i gruppi italiani e non ci stavano tutti ». In un paese di pochi abitanti, a settecento metri di altitudine, è facile sentirsi soli e la zona rossa rende le cose ancora più difficili. Padre Giancarlo condivide la cura del santuario con due suoi confratelli: «In questi giorni, abbiamo aumentato i momenti di condivisione. Celebriamo insieme la Messa, recitiamo il breviario, leggiamo il giornale, telefoniamo alle altre famiglie per sapere come stanno. Per ora noi stiamo bene, ma naturalmente siamo un po’ preoccupati. Ogni ora esce un nuovo caso».

Il santuario è da sempre il luogo centrale della vita del paese, il punto di riferimento per tutti: «La devozione alla Madonna del sangue – conclude il rettore – ha oltre 500 anni di storia. Nel 2022 celebreremo 100 anni dalla posa della prima pietra della chiesa nuova. Un’opera grandiosa, costruita in un paesino in mezzo alle montagne. Siamo in un luogo di grazia e quando tutto questo passerà torneremo al nostro cammino, consapevoli del valore dell’umiltà e dell’attenzione alle persone. La vera grande opera è saper camminare con gli altri».

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