venerdì 15 dicembre 2017
La commissione d'inchiesta sull'uccisione dello statista Dc ha vagliato 700mila pagine di atti: «Ambiguità e depistaggi»
Il corpo di Aldo Moro nel portabagagli di una Renault 4 rossa in via Caetani. Roma, 9 maggio1978. (Ansa)

Il corpo di Aldo Moro nel portabagagli di una Renault 4 rossa in via Caetani. Roma, 9 maggio1978. (Ansa)

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«L’obiettivo è quello di spazzare via una serie di 'misteri' e di far emergere omissioni e reticenze dei protagonisti e, in diversi casi, degli apparati ». Così Giuseppe Fioroni (Pd), presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, sintetizza l’intento della relazione consegnata al Parlamento (la Camera l’ha approvata con 406 sì e un astenuto).

Un documento di 273 pagine (che segue ad altre due relazioni già licenziate nel 2015 e nel 2016) nato dal lavoro dei parlamentari e di consulenti di vaglia come il giudice Guido Salvini. Per redigerlo, sono stati acquisiti 2.250 documenti, per un totale di 700mila pagine: «La nostra idea è di desecretare tutto – anticipa Fioroni – . Non potranno essere pubblici solo i documenti che sono al centro di indagini presso la Procura e quelli segreti, provenienti dall’estero, nel rispetto della fonte». Dal testo emerge un j’accuse alle istituzioni che non si adoperarono a sufficienza per proteggere il presidente della Democrazia cristiana, sequestrato e ucciso dalle Br nel 1978. «Una semplice lettura combinata dei documenti programmatici delle Brigate rosse e delle informative che provenivano dal Medio Oriente – si legge a pagina 270, nelle conclusioni – avrebbe consentito di individuare una specifica necessità di tutelare la persona dell’onorevole Moro con le massime misure di sicurezza». Per Federico Fornaro (Mdp), segretario della commissione, «gli apparati dello Stato in 55 giorni non hanno fatto tutto quello che potevano per salvare la vita dell’onorevole Moro: troppi ritardi, molte omissioni e strane lacune investigative ». Il documento parla di «inefficace protezione » non imputabile «solo a carenze degli apparati di polizia», ma anche ad «ambiguità di singoli esponenti della politica, della magistratura e degli apparati».

Il Bar Olivetti e il palazzo di Via Massimi. Il documento punta il dito sulle «lacune della ricostruzione » condensata nel memoriale dell’ex brigatista Valerio Morucci e sulla cosiddetta «verità dicibile». Ci sono passaggi relativi al sequestro dello statista e ai 55 giorni di prigionia che potrebbero essere riesaminati «alla luce degli accertamenti sul bar Olivetti», davanti al quale si svolse l’assalto alla scorta «e sulla sua funzione nell’operazione delittuosa». E c’è un palazzo 'misterioso', sul quale non si è mai indagato: «È noto – scrive la commissione – che, sin dall’inizio delle indagini la zona della Balduina fu oggetto di particolare attenzione. Ma non lo stabile di via Massimi 91, come se godesse di una extraterritorialità». L’e- dificio, all’epoca di proprietà dello Ior, era caratterizzato dalla presenza di prelati, società statunitensi, esponenti tedeschi dell’autonomia, finanzieri libici. Ma soprattutto, vi abitavano due persone che hanno «riconosciuto di aver ospitato per diverse settimane, nell’autunno 1978, Prospero Gallinari», esponente delle Br, «in un’abitazione sita nel complesso». Il palazzo disponeva di un «doppio ingresso» su via Massimi e, attraverso il garage, su via della Balduina. E la commissione ritiene «probabile che la palazzina in questione abbia avuto un ruolo, quantomeno in relazione allo scambio delle auto» usate per spostare Moro. Eppure «mai, dal 1978 ad oggi, era stato svolto un serio lavoro accertativo sui condomini di Via Massimi nr. 91».

Casimirri e l’ipotesi depistaggio. La commissione ha scoperto un «cartellino fotosegnaletico » del 4 maggio 1982 intestato ad Alessio Casimirri, ex brigatista da anni latitante in Nicaragua. «A quella data era già stato colpito da più mandati di cattura, pertanto avrebbe dovuto seguire un immediato arresto», denuncia la relazione, che ipotizza: o si verificò un «fatto abnorme», cioè un arresto di Casimirri e un suo successivo rilascio, oppure il cartellino è un falso. In entrambi i casi, ragiona Fioroni, ci sono «profili di un possibile depistaggio che la commissione intende sottoporre con un esposto all’attenzione della magistratura».

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