mercoledì 31 marzo 2021
L'organizzazione è accusata di avere trasbordato migranti in cambio di denaro. Dai documenti dei pm e dai tabulati telefonici non emergono contatti precedenti tra "Mediterranea" e il gruppo "Maersk"
Mare Jonio, ecco le carte dell'inchiesta. Tra falle e contraddizioni
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C'è un buco di nove giorni nell’inchiesta della procura di Ragusa sul presunto accordo economico che avrebbe spinto la nave Mare Jonio, dell’organizzazione italiana Mediterranea, a raccogliere in cambio di 125mila euro i 27 naufraghi tenuti per 37 giorni in ostaggio dello scaricabarile tra autorità nel Mediterraneo.
Fino ad ora erano trapelati spezzoni di intercettazioni – affermazioni sopra le righe, toni camerateschi, espressioni trionfalistiche – e qualche commento a mezza bocca riferito da fonti investigative. Dalla lettura dei testi integrali visionati da Avvenire, emerge da subito uno scoglio, non l’unico. Il via libera alle intercettazioni telefoniche sugli indagati, tra cui in particolare Luca Casarini, Beppe Caccia, Alessandro Metz e il comandante Pietro Marrone, arriva dal giudice delle indagini preliminari il 21 settembre, nove giorni dopo il trasbordo dalla petroliera Maersk Etienne, la cui compagnia due mesi dopo ha versato quello che la stessa Maersk ha definito come “contributo” di 125mila euro all’armatore sociale di Mediterranea, la società Idra, per aver sbloccato la situazione. Tutto ciò che accade prima viene ricostruito dagli inquirenti non sulla base di intercettazioni o documenti, ma su “ipotesi”. La verifica incrociata di diversi elementi, però, va nella direzione opposta alle conclusioni degli inquirenti.


Il bonifico danese viene inviato il 30 novembre 2020, quasi 80 giorni dopo il trasbordo. Causale: «Servizi di assistenza forniti in acque internazionali - Settembre 2020». «Se ci fosse stato qualcosa da nascondere – argomentano i legali degli indagati, Serena Romano e Fabio Lanfranca – Maersk si sarebbe ben guardata dall’inserire l’esplicito richiamo al soccorso di settembre». La compagnia di navigazione non è mai stata sentita dagli inquirenti. E nei giorni scorsi da Copenaghen hanno di nuovo confermato ad Avvenire di «non avere ricevuto notizie dalle autorità italiane», nonostante il gruppo navale possa essere stato testimone, complice o vittima di un possibile reato. «Restiamo disponibili, se chiamati, a fornire ogni chiarimento», aggiungono da Maersk.


Settimane dopo le operazioni di salvataggio, i manager di Maersk avevano incontrato «i rappresentanti di Mediterranea per ringraziarli – si legge in una nota del gruppo – per la loro assistenza umanitaria. In seguito a questo incontro, decidevamo di dare un contributo a Mediterranea (attraverso l’armatore sociale Idra, ndr), per coprire parte dei costi che avevano dovuto sostenere in seguito all’operazione».
La lettura delle intercettazioni contenute nelle 42 pagine del decreto con cui sono state disposte perquisizioni e sequestri – confermati dal Tribunale del Riesame – per ammissione degli inquirenti non offrono però certezze granitiche. «Si ha motivo di ipotizzare – si legge nelle carte dell’accusa – che i primi abboccamenti con la Maersk siano precedenti alla partenza della Mare Jonio dal porto di Licata».
L’8 settembre 2020 alle ore 10.25 Beppe Caccia scriveva una email all’indirizzo di posta elettronica di Maria Skipper Schwenn, direttore esecutivo della Danish Shipping, il sindacato degli armatori danesi, dopo che questa aveva postato sui social network numerosi appelli a governi e Ong, affinché venisse “liberata” la petroliera e messi al sicuro i naufraghi. Caccia, dopo essersi presentato come uno degli armatori sociali di Mediterranea, avvertiva Danish Shipping dell’imminente partenza di Mare Jonio.


Prima di quel momento gli investigatori non hanno rintracciato alcun’altra comunicazione neanche nei tabulati dei gestori della telefonia. Poco dopo quella mail partono dalla Danimarca diverse chiamate verso il cellulare di Caccia, che però sta mettendosi in navigazione e non è raggiungibile. Gli inquirenti non sono stati in grado di identificare a chi appartenesse il numero, attribuendolo genericamente alla Maersk. In realtà altri non era che la direttrice del sindacato, Maria Skipper Schwenn. Il 10 settembre un’altra utenza danese tenta di rintracciare il capomissione di Mediterranea, ancora una volta senza fortuna. Stavolta si tratta di Tommy Thomassen, direttore tecnico di “Maersk Tankers”, che aveva ricevuto i contatti da Skipper Schwenn. Non riuscendo a contattare la Mare Jonio, che nel frattempo aveva preso la rotta per Lampedusa, imbarcando in acque internazionali due tecnici a cui era stato vietato di salire sul rimorchiatore in acque italiane, Thomassen gira i contatti della Mare Jonio al comandante della Maersk Etienne, che alle 19.29 invia una mail al comandante Pietro Marrone (anch’egli indagato) e poi riesce a mettersi in comunicazione via radio. Poco dopo le 21.00 la nave battente bandiera italiana devia la rotta per dirigersi nell’area di ricerca e soccorso maltese dove stazionava da oltre un mese la petroliera. Il giorno successivo, dopo il nuovo rifiuto di Malta, Mare Jonio prende a bordo i 27 naufraghi e torna in direzione Pozzallo per lo sbarco autorizzato dalla centrale dei soccorsi di Roma.


Dal 21 settembre, dunque, partono le intercettazioni. Il 9 ottobre gli investigatori ascoltano Casarini mentre si augura un esito favorevole delle interlocuzioni nel frattempo avviate da Maersk, dopo che Caccia era stato invitato a Copenaghen per degli incontri pubblici promossi dal sindacato degli armatori, che da tempo chiede alla Commissione Ue una soluzione celere in casi come quello della petroliera Etienne. Nelle conversazioni Casarini, Caccia e Metz usano spesso, nel loro intercalare veneto, un linguaggio più che “colorito”. Gli inquirenti sottolineano come i dialoghi intercettati registrino uno stato di «trepidante attesa per le notizie dalla Danimarca» ed una costante incertezza sulla effettiva erogazione di un contributo da parte dei danesi. Deduzione che contrasta con la certezza di un accordo economico preventivo. Quando poi il bonifico arriva, Caccia e Casarini non si risparmiano in paroloni, ripromettendosi di festeggiare con lo “champagne”. Pur intercettati e tenuti d’occhio da vicino, gli inquirenti non annotano circostanze o acquisti che rimandino a un qualche festeggiamento, mentre invece viene annotata la corsa a coprire i debiti che l’organizzazione aveva accumulato nei due anni di missioni umanitarie. Come scrive la procura, mantenere le operazioni in mare costa circa 120mila euro al mese.
C’è però un capitolo dell’indagine, a cui vengono dedicate diverse pagine, che non ha nulla a che vedere con il caso Maersk. È quello dedicato ai donatori di Mediterranea, tra cui associazioni, privati cittadini, enti cattolici. Secondo i magistrati i contatti anche con alcuni sacerdoti e vescovi (ampiamente documentati dalle cronache di questi anni) mostrano la volontà di costruire una “lobby” che, si legge tra le righe, intende intervenire sulle politiche dell’Italia e dell’Ue. E sembra essere questo il vero bersaglio dell’inchiesta, che per stessa ammissione della procura «andrà avanti per mesi». Mesi durante i quali non potranno essere compiute attività di monitoraggio delle violazioni né operazioni di salvataggio.



Dopo il trasbordo dei 27 migranti bloccati per 37 giorni a bordo della Maersk Etienne, il clima dentro Mediterranea Saving Humans si fa teso. Lo rilevano le intercettazioni eseguite dalla procura di Ragusa, che nei giorni scorsi ha ribadito come in alcun modo l’organizzazione umanitaria sia sotto indagine, sebbene proprio gli 8 indagati siano tutti, oltre che rappresentanti della società armatrice costituita appositamente per le operazioni in mare, anche tra i fondatori e dirigenti di Mediterranea Saving Humans.

Proprio una serie di confronti interni mostrano che, in senso inverso alle conclusioni della procura, non vi fosse alcuna certezza che Maersk potesse effettuare una donazione. Al centro c’è proprio il ruolo dei vertici, che secondo i magistrati agiscono mostrando “una gelosa cura della segretezza di certi dati contabili”. A cominciare dai debiti, che avrebbero potuto spaventare gli attivisti, calcolati nell’autunno scorso in circa 750 mila euro. I conti in rosso venivano ripianati dove possibile non solo grazie alle donazioni, ma attraverso prestiti infruttuosi, restituiti con modalità a informali che gli inquirenti stanno monitorando. Una gestione della contabilità infatti, più simile a quella di una associazione, ma che nel caso di una società armatrice deve fare i conti con modalità eminentemente imprenditoriali. Un mese di navigazione, infatti, secondo la procura di Ragusa arriva a costare circa 120 mila euro e in due anni Mediterranea aveva dovuto affrontare anche sequestri amministrativi, multe, spese legali, oltre agli stipendi per il marinai professionali e quelli per alcuni dipendenti, tra cui lo stesso Luca Casarini, che percepiva uno stipendio di poco superiore a 1.500 euro al mese.
Quando Maersk Tankers versa il “contributo” di 125mila euro a Idra, società armatrice di Mediterranea, gli armatori fanno in modo che l’informazione non venga messa in circolazione. Il principale cruccio è quello di tappare le falle nei conti. Poche ore dopo l’arrivo del bonifico da Copenaghen gli inquirenti annotano una conversazione nella quale Casarini e Beppe Caccia, spiegano che “stanno provvedendo a pagare tutti i debiti”.


Proprio martedì 31 marzo Mediterranea ha pubblicato sul proprio sito il rendiconto relativo all’impiego dei 125mila euro, di cui 33.646 in tasse e sanzioni amministrative. Alcune fratture all’interno del variegato mondo che compone la piattaforma italiana di salvataggio, agli inquirenti appaiono insanabili. Quando uno dei medici, nel corso delle riunioni interne, esprime perplessità su altri sanitari da imbarcare come volontari, finisce per essere bollata come “traditrice”.
Nelle carte dell’accusa è riportato che il medico di bordo, dopo il trasbordo dei 27 migranti, avrebbe faticato ad adoperare alcune flebo. Secondo la difesa, i migranti erano sotto choc e non si prestavano facilmente alle cure. Questa circostanza ha suscitato una serie di interrogativi nel corso delle riunioni successive al trasbordo. Uno degli attivisti che chiedeva conferme riguardo a possibili problemi di gestione sanitaria a boro e poi stato apostrofato, in un’altra comunicazione intercettata: “questo tizio fa di tutto per denigrare l’operatività nelle operazioni”, annotano gli inquirenti sintetizzando una telefonata tra Caccia e Casarini. Altre volte i dibattiti appaiono come il fisiologico confronto tra anime differenti di una stessa organizzazione, dove la coesistenza tra attivisti più anziani e altri giovanissimi si misura di frequente con un vivace confronto generazionale.


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