venerdì 5 marzo 2021
Al centro dell’inchiesta alcune chiamate, non intercettate, dalla Danimarca. Per i pm si tratta di un telefono della Maersk. Il sindacato degli armatori di Copenaghen: “No è una nostra utenza”
Un’immagine della nave umanitaria Mare Jonio

Un’immagine della nave umanitaria Mare Jonio

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Dalla lettura dei documenti dell’accusa contro i vertici di Idra, l’armatore della Mare Jonio, la nave umanitaria di Mediterranea, vanno emergendo dettagli da chiarire.

Nel provvedimento della procura è riportato che alcuni giorni prima del 12 settembre 2020, quando avvenne il trasbordo dei migranti dalla petroliera Maersk Etienne a Mare Jonio, uno degli indagati (Beppe Caccia) ricevette alcune chiamate dalla Danimarca, sempre dalla stessa utenza «della quale non è stato identificato l’intestatario», si legge nel provvedimento degli inquirenti. Tuttavia «si ha il fondato motivo di ricondurre alla stessa Maersk». Dal sindacato degli armatori danesi, però, reagiscono non senza sorpresa. «Quel telefono – si legge in una mail indirizzata ad Avvenire – è di Maria Skipper Schwenn, direttore del Danish Shipping», proprio l’associazione di categoria degli armatori. La precisazione arriva due giorni dopo le dichiarazioni di Maersk, che in una lunga nota aveva ribadito come non vi fosse stato «alcun accordo commerciale precedente al trasbordo dei migranti». Gli investigatori, al contrario, sostengono che le intese, «del tutto probabilmente intercorse», sono da ritenere «plausibili».

«Depositeremo nei prossimi giorni istanza di riesame del provvedimento cautelare», annunciano i legali degli indagati. A questo proposito verranno consegnate anche le comunicazioni tra Mare Jonio e la Capitaneria di Porto. In una delle mail giunte sul ponte di comando del rimorchiatore, il coordinamento dei soccorsi presso il comando delle capitanerie di porto a Roma, alle 19.25 del 12 settembre, informava «che il Ministero dell’Interno ha autorizzato lo sbarco per ragioni sanitarie delle persone presenti a bordo». Le perquisizioni di alcuni giorni fa, quando sono stati acquisiti computer, telefoni, registri contabili, serviranno agli investigatori per approfondire l’indagine e individuare eventuali ulteriori indizi che possano confermare o rivedere l’ipotesi investigativa. A cominciare da uno degli aspetti più controversi. Secondo l’accusa Beppe Caccia, che era stato in contatto con la Danimarca dove poi aveva partecipato ad alcuni incontri pubblici sul tema del soccorso in mare, avrebbe inizialmente chiesto a Maersk il versamento di 270mila euro, ottenendo invece un bonifico da 125mila euro. L’interessato spiega, non smentito da Maersk, che nel corso di un meeting pubblico quando gli era stato chiesto dai manager di Maersk di quantificare il costo non solo del trasbordo ma anche del successivo stop imposto alla nave a causa di quarantena e nuovi controlli, aveva indicato la ciofra di 270 mila euro. Un dettaglio, qualunque fossero le intenzioni, che la difesa intende utilizzare. Perché l’incontro con Maersk e altri armatori a Copenaghen, nel corso del quale la compagnia decise di versare 125mila euro in forma di sostegno all’organizzazione umanitaria, avvenne in ottobre, un mese dopo il trasbordo. Secondo i legali questo passaggio dimostrerebbe come non vi fosse stato alcun accordo preventivo, economico preventivo. Gli inquirenti stanno invece cercando nel materiale sequestrato quei riscontri che farebbero disincagliare l’indagine dalle secche di ciò che investigatori al momento ritengono solo “plausibile”.

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