venerdì 20 marzo 2020
Il racconto in prima persona di chi incontra, tutti i giorni, il dolore degli altri
Lo strazio della separazione e quelle lacrime in divisa

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Pubblichiamo il racconto di Katia Sartori, presidente della Pubblica Assistenza Sant’Agata di Rivergaro, in provincia di Piacenza.

È giorno. Sono le 9 del mattino. Indossi quella divisa che portavi con orgoglio sperando che sia un giorno diverso dagli scorsi. Invece no. Suona il telefono: “Ciao Piacenza 5 ext, ti mando in codice verde su una signora di 72 anni con febbre alta e dispnea, sospetto caso di coronavirus, usa pure i dispositivi sonori, così ti liberi prima che ho un altro servizio già per te”. Ti vesti. Ti vesti con quelle tute bianche di plastica che vedevi solo in Csi, dove dentro si muore dal caldo. Dove fai fatica a compiere il più piccolo gesto. Ti vesti facendo attenzione a non avere parti di pelle scoperte e indossi quella mascherina che fa soffocare. Quella che quando fai anche solo 2 rampe di scale, non respiri e ti senti svenire. Ti metti la visiera, ti guardi, controlli che tutto sia a posto più volte. Ti specchi in ogni angolo possibile. Perché basta poco per “portarlo a casa”. Arrivi a destinazione dove tutti ti guardano incuriositi dalla finestra. Ti muovi a fatica. Respiri a fatica. Senti le voci a fatica.

Entri in casa. Settantadue anni, ha la febbre e non riesce a respirare nemmeno con l’ossigeno. Ormai ne hai già visti tanti, hai gia visto quella difficoltà respiratoria. Occorre andare in ospedale e alla svelta. Il marito la veste e l’aiuta... con una cura e attenzione degne del più bel film d’amore. Come solo i mariti di una volta sanno fare. Cinquant’anni di matrimonio e mai si erano separati. Ma questa volta... lui non può accompagnarla come le altre volte. Non può starle accanto. Tenerle la mano e incoraggiarla dicendole che “tutto andrà bene”.

Glielo sussurra, mentre le infila le ciabatte sulla soglia di casa. Prima di consegnarla a me. Arriva la figlia. Chiede se può venire in ospedale, ma non si può, non si può entrare in ospedale. Dentro di te, sai che quella potrebbe essere l’ultima volta che la signora vede sua figlia. Dentro di te sai che quella potrebbe essere l’ultima volta che la figlia vede sua madre. Speri non sia così. La figlia in lacrime chiede se può salutare la madre. Apri il portellone dell’ambulanza e permetti il saluto. Straziante. Sotto la visiera volevo solo piangere. Ma non si può. Si deve dare tutto il conforto possibile e tutta la sicurezza possibile. Arrivi in pronto soccorso dove incontri tutti i medici e gli infermieri, tutti sono più stravolti di te perché nel frattempo arrivano altri pazienti, tutti con gli stessi sintomi.

La signora è preoccupata e si sente sola. I pazienti che entrano hanno sul volto dipinta la paura. Lasci la signora nelle mani del pronto soccorso. Esci e ti disinfetti. Cerchi di farlo al meglio perché hai il terrore di prendere il virus anche tu e “portarlo” a chi vuoi bene, di portarlo a casa. O più semplicemente di amma-larti tu. Non hai ancora terminato la disinfezione che ti suona il telefono. Si tratta di un altro sospetto Covid-19. Ti prepari. Di nuovo. Di nuovo le sirene. Le stesse che senti la notte. Anche mentre chiudi gli occhi ti sembra di sentirle ancora nella tua testa. “Uomo di 42 anni con febbre alta e difficoltà respiratoria”. Preghi non sia il padre di qualche tuo amico. Preghi non sia il tuo. Preghi non sia chiunque tu possa conoscere. Arrivi sul posto. Ti trovi di fronte ad un uomo di 42 anni, agente delle forze dell’ordine in servizio nel Lodigiano durante le prime fasi di tutta questa situazione. Ha la febbre alta. Fatica molto a respirare.

È necessario andare in ospedale. All’uscita della stanza, tutti i colleghi sull’attenti per il “loro saluto”. Non dimenticherò mai il loro sguardo. Arriviamo in ospedale. Sembra ci sia più gente di prima, anche se sono passati solo 40 minuti tra un intervento e l’altro. Sono le 20. Ormai è sera. Il giorno dopo scopro che la signora di 72 anni è morta. Da sola. Senza aver da parte il marito che con tanto amore le ha dedicato tutta la sua vita. Senza avere vicino la figlia.

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