sabato 19 maggio 2018
Il profilo più gettonato resta quello di Giuseppe Conte, il giurista pugliese dal profilo internazionale che già faceva parte della squadra dei ministri di Maio.
Matteo Salvini ad un gazebo della Lega allestito per votare il contratto di governo con il Movimento 5 Stelle (Ansa)

Matteo Salvini ad un gazebo della Lega allestito per votare il contratto di governo con il Movimento 5 Stelle (Ansa)

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La sensazione è che anche sul nome del premier l’accordo in buona parte ci sia e che, «per rispetto verso il Colle», come spiega Matteo Salvini, si attenda l’incontro al Quirinale di lunedì. Il profilo più gettonato resta quello di Giuseppe Conte, il giurista pugliese dallo standing internazionale che già faceva parte della squadra dei ministri proposta da Luigi Di Maio prima del voto.
Conservare un margine di dubbio è sempre giusto ed è segno di prudenza.

La sensazione è che Conte vada benissimo a Salvini, nonostante non sia un "suo" uomo, mentre sia un compromesso per Di Maio. Le parole del leader della Lega sono chiare: «Che il premier non fosse uno tra me e Di Maio era chiaro sin dall’inizio. Deve essere una figura che vada bene a entrambi, con una esperienza professionale incontestabile e che condivida e abbia contribuito alla stesura del programma. Le idee le abbiamo». E il vicepresidente del Carroccio Lorenzo Fontana completa il profilo confermando un fatto già noto, che questa personalità «incontestabile» possa venire da M5s, sebbene non dalla prima fila politica. Tutto sembrerebbe quindi portare a Conte o all’economista Andrea Roventini, che Di Maio, in un esecutivo a sua conduzione, avrebbe voluto come titolare del Tesoro. Tuttavia l’unico nome sinora sussurrato al Colle è quello di Conte. E a Mattarella sembra andar bene così. Il giurista pugliese, inoltre, avrebbe ricevuto un "nulla osta" informale anche da Forza Italia.

Lievemente diversi i toni di Di Maio. Sfumature, ma significative: «Non so se sarò io il premier...», è l’incipit delle ultime dirette Facebook del capo 5s. E poi quella definizione che Di Maio usa, un premier «amico del popolo», non sembra calzare a pennello su un professore ancora ignoto al grande pubblico. E anche Davide Casaleggio, interpellato sul tema, dice che il nome ideale per lui è quello di Di Maio. Ma per Salvini, sin dall’inizio del negoziato, il passo indietro di Di Maio è una necessità assoluta, una sorta di scalpo da portare a Berlusconi e Meloni che ora si metteranno all’opposizione dell’esecutivo giallo-verde.

Di Maio e Salvini assicurano che la decisione finale arriverà questa domenica durante un nuovo decisivo incontro. Che avrà a tema, oltre alla scelta del premier, anche le indicazioni per la «squadra». Il primo nodo è politico. Il leader M5s sembra propenso a entrare in Consiglio dei ministri. Salvini sul punto è meno netto, perché è tentato anche dall’opzione di influenzare l’esecutivo dal suo scranno da senatore. «Se non si rispetta il programma salta tutto», avverte il segretario della Lega facendo capire che non è poi così sicuro che la legislatura duri cinque anni. Nel caso decidesse di occuparsi direttamente di un dicastero, opterebbe ovviamente per il Viminale. Appare scontato l’ingresso a Palazzo Chigi, come sottosegretari, dei due registi del "contratto", il numero due di Di Maio, Vincenzo Spadafora, e il braccio destro di Salvini, Giancarlo Giorgetti. Non è escluso nemmeno che i due scudieri dei leader facciano i vicepremier, con Di Maio e Salvini fuori dal governo. Ma è un’ipotesi che renderebbe più fragile il lavoro del governo e in qualche modo ne ridurrebbe la durata.

Intanto dopo il voto plebiscitario sulla piattaforma M5s Rousseau, anche la Lega si avvia ad un trionfo dei «sì» al contratto presso i gazebo verdi. «Oltre 100mila persone sono venute per portare idee, consigli e proposte», esulta Matteo Salvini. Insomma un altro bagno di consenso che mostra le affinità tra l’elettorato del Carroccio e i militanti pentastellati. Nell’incontro di oggi, Di Maio e Salvini non dovranno chiudere solo sul premier e sui ministri, ma anche sulle nomine parlamentari. Con il governo, può realmente partire la legislatura. Con i presidenti di Commissione, gli incarichi di garanzia da lasciare alle opposizioni, le nomine delle partecipate statali e degli organi costituzionali. L’accordo deve essere complessivo.

Resta un margine per le sorprese. Un improvviso forcing finale di Di Maio su Salvini per andare lui a Palazzo Chigi. Una rottura dell’ultimo secondo su uno dei punti programmatici ancora incerti (il reddito di cittadinanza ieri ha fatto battibeccare a distanza i due, ma anche l’Ilva e la Tav non hanno ancora una quadra definitiva...). Tuttavia sembra davvero difficile immaginare un passo indietro a un metro dal traguardo. Piuttosto, potrebbe esserci un ridimensionamento delle aspettative, a partire proprio da un premier «terzo» come Conte che ridurrebbe la caratura politica dell’esecutivo e darebbe a entrambi i leader la possibilità di staccare il filo senza giocarsi per intero la propria immagine.

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