Le prime obiezioni di coscienza. Cominciamo dalle parole
sabato 25 novembre 2023

«Siamo state amate e odiate, adorate e rinnegate, baciate e uccise. Solo perché donne». In questo verso di Alda Merini un inquietante interrogativo, quasi un mistero: quello della ragione della violenza sulle donne. Il mistero resta nel verso stesso: «Solo perché donne». E si può capire dato che i casi di donne che uccidono gli uomini sono davvero isolati. Lo stesso mistero emerge da un verso biblico tra i più funestamente famosi: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto ed egli ti dominerà» (Gen 3,16) Non si dice che la donna dominerà l’uomo! Perché questo? Troppe volte è stato, a torto, inteso come fosse la volontà di Dio, aggiungendo violenza divina a violenza umana. In realtà Dio aveva voluto liberare l’umano dalla solitudine mettendo dinanzi a lui un limite sublime: la donna, appunto. Era stato un compimento, un’opera di pace, un canto di pienezza. Poi venne la divisione, la competizione, l’inimicizia. Non formando più “una carne sola” con lei, l’uomo iniziò a dominare la donna forse perché da lei promanava un timore quasi divino a causa del suo “partorire”. Era lei la sorgente, la “madre di tutti i viventi”. Una immensa potenza che in Maria, la madre vergine di Gesù, sarà estremamente esaltata. Il Dio creatore le aveva quantomeno passato il testimone.

E l’uomo si sentiva, forse, atterrito, perché v’era in lei un solco di infinito, un principio di eternità. Suo marito aveva bisogno di lei perché il suo seme invece, era esposto alla perdita, esigeva un sigillo, un giardino dove rigenerarsi alla vita. Ed ecco il patriarcato dove la discendenza conta più della moglie.

Le leggi sull’adulterio furono scritte per dissuadere chi volesse violare la proprietà del marito sul corpo della moglie. Il corpo di lei costituisce la sua protezione, la sua stessa pelle, la garanzia di una casa, di una mensa e di un futuro. Vuole farne un possesso. I casi di ribellione tuttavia non mancano. «Un levita, che dimorava all’estremità delle montagne di Èfraim, si prese per concubina una donna di Betlemme di Giuda. Ma questa sua concubina provò avversione verso di lui e lo abbandonò per tornare alla casa di suo padre» (Gdc 19,1-2). Dopo un po’ di tempo il levita andò a riprendersela e il padre di lei gliela restituì. Nel viaggio di ritorno dovette fermarsi in un villaggio, a Gabaa, ma nessuno voleva ospitarlo. Solo un vecchio, anch’egli forestiero, lo condusse, invece, a casa sua e mangiarono e bevvero. Ma gli uomini della città bussarono alla porta chiedendo di far uscire il levita perché volevano abusare di lui. Allora il vecchio li pregò: «Ecco mia figlia, che è vergine, e la sua concubina: io ve le condurrò fuori, violentatele e fate loro quello che vi pare, ma non commettete contro quell’uomo una simile infamia» (v.24). Nel patriarcato non solo le mogli ma anche le figlie sono proprietà degli uomini e dei padri. Ma gli abitanti di Gabaa volevano il levita! «Allora il levita afferrò la sua concubina e la portò fuori da loro. Essi la presero e la violentarono tutta la notte fino al mattino» (v.25). E quando suo marito uscendo e trovatala che giaceva sulla soglia, le disse di alzarsi: «Non ebbe risposta» (v.28).

Una storia terribile che penseremmo inchiodata nel buio del passato, nella barbarie di una cultura primitiva e che, invece, si ripresenta con varianti altrettanto oscene, nella nostra attualità. Rientrato a casa, il levita: «Si munì di un coltello, afferrò la sua concubina e la tagliò, membro per membro, in dodici pezzi; poi li spedì per tutto il territorio d’Israele (…) “È forse mai accaduta una cosa simile da quando gli Israeliti sono usciti dalla terra d’Egitto fino ad oggi? Pensateci, consultatevi e decidete!”» (vv. 29-30).

La mostruosità dello scempio subito dalla donna doveva essere veduta, valutata e affrontata non solo dagli uomini di Gabaa ma da tutte le tribù di Israele, tutti erano tenuti alla responsabilità di un giudizio e a cercare un modo perché un simile delitto non si ripetesse. Anche suo marito, il levita! Così oggi, dinanzi alla ferocia che si abbatte non solo sul corpo ma sull’intera vita delle donne non basta punire i colpevoli, non basta individuare ragioni per scaricarvi la gravità o la straordinarietà del fatto, occorre una riflessione e un impegno che tutti, uomini e donne, l’intera comunità umana deve assumere e intraprendere. Anche chi traduce la Bibbia ha le sue responsabilità: occorre trovare parole diverse da quelle usate nei testi, oggi davvero inaccettabili: “la schiava, la serva” per le mogli o le donne; “il mio signore, il mio padrone” per i mariti e gli uomini. Quando Maria chiama sé stessa: “serva” denuncia, in realtà di essere libera dal potere patriarcale, protesa all’abbraccio dell’Amore di Dio. Sono le parole le prime obiezioni di coscienza per una civiltà che rigetti la violenza e la morte e promuova l’amore e la vita.



© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI