
Bambini a un pozzo di Kabul - Ansa
Non basta la crisi umanitaria e la sistematica violazione dei diritti umani, con le donne segregate e completamente escluse dall'accesso all'istruzione e alla vita sociale. Non basta nemmeno la crisi economica (innescata anche da questa decisione), che rende l'Afghanistan uno dei Paesi più poveri al mondo, col 95% della popolazione sull'orlo della fame. La capitale afghana è infatti ora anche sull’orlo di una catastrofe idrica. A meno di un intervento urgente e coordinato, Kabul – che conta su oltre 6 milioni di abitanti – rischia di diventare entro il 2030 la prima capitale moderna al mondo a rimanere completamente senz’acqua.
Secondo i dati raccolti in un report dalla Ong Mercy Crops le falde acquifere della città sono scese di ben 25-30 metri nell’ultimo decennio. Ogni anno, per l'esattezza, si estraggono 44 milioni di metri cubi d’acqua in più rispetto a quanto naturalmente reintegrato. Di qui le allarmanti proiezioni dell’Unicef: tra cinque anni le riserve sotterranee d’acqua potrebbero essere esaurite, costringendo circa 3 milioni di persone ad abbandonare le proprie case.
Oltre il 50% dei pozzi trivellati – la principale fonte d’acqua potabile per la popolazione – risulta già asciutto. A peggiorare la situazione, ci sono oltre 120mila pozzi non regolamentati che, insieme a fabbriche e serre, stanno prosciugando le tre principali falde della città a un ritmo quasi doppio rispetto alla capacità di rigenerazione naturale.
L’effetto combinato di crescita demografica e cambiamento climatico
Dal 2001 a oggi, la popolazione di Kabul è passata da meno di un milione a circa sei milioni di abitanti. Questa rapida urbanizzazione ha moltiplicato la domanda d’acqua, mettendo sotto pressione un’infrastruttura idrica già fragile. Il cambiamento climatico ha aggravato la crisi. L’Afghanistan è particolarmente vulnerabile alla siccità: l’ultima, durata dal 2021 al 2024, ha colpito oltre 11 milioni di persone. Le nevicate e lo scioglimento dei ghiacciai dell’Hindu Kush – da sempre fonti cruciali per la ricarica delle falde – sono in forte calo. Tra ottobre 2023 e gennaio 2024, il paese ha ricevuto solo il 45-60% delle precipitazioni medie invernali rispetto agli anni precedenti.
Secondo le stime, fino all’80% dell’acqua sotterranea di Kabul è contaminata da liquami, arsenico e nitrati. Questo rende l’acqua potabile pericolosa, soprattutto per bambini e anziani. La mancanza di acqua pulita ha portato alla chiusura di scuole e strutture sanitarie in diverse aree periferiche della città. Nel frattempo, il prezzo dell’acqua acquistata è salito alle stelle, costringendo molte famiglie a scegliere tra idratazione e sopravvivenza economica. Alcune compagnie private stanno approfittando della crisi, estraendo acqua da pozzi privati e rivendendola a prezzi esorbitanti. Le tensioni sociali sono in aumento: già nel 2008, un sondaggio Oxfam rilevava che il 40% dei conflitti tribali e comunitari erano legati all’accesso all’acqua.
Un fallimento di governance e cooperazione internazionale
Nonostante vent’anni di intervento umanitario internazionale, le infrastrutture idriche di Kabul restano insufficienti. Pozzi non regolamentati, riserve superficiali come la diga di Qargha compromesse da sedimenti e scarsa manutenzione, e progetti vitali come l’oleodotto del Panjshir e la diga di Shah Toot fermi a causa di fondi bloccati e mancanza di investimenti. Dopo l’isolamento internazionale del governo talebano nel 2021, oltre 3 miliardi di dollari destinati ai programmi idrici (WASH) sono stati congelati. Il disfacimento dell’USAID sotto l’amministrazione Trump ha influito pesantemente sui programmi umanitari nel paese.
La crisi idrica di Kabul è il risultato di decenni di mancanze nella governance, nella regolamentazione e nella pianificazione infrastrutturale. Ma è anche un campanello d’allarme per altre città del mondo che potrebbero trovarsi a fronteggiare simili sfide nei prossimi anni, mentre il cambiamento climatico accelera i suoi effetti devastanti. Un’azione immediata è necessaria. La priorità assoluta deve essere aumentare la ricarica delle falde acquifere e sbloccare i canali di finanziamento umanitario. Senza un’inversione di rotta, Kabul rischia di diventare l’emblema di un collasso urbano guidato dal clima, con conseguenze umanitarie, politiche ed economiche di portata globale.