martedì 21 aprile 2020
Il ministro degli Esteri: puntiamo a intesa su Recovery fund. Sulle riaperture: non c'è fretta, una seconda ondata sarebbe letale
Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, M5s (Ansa)

Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, M5s (Ansa) - Ansa

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La testa di Luigi Di Maio è ferma sul 23 aprile. Sulla trattativa decisiva. Sulla prova della verità che attende l’Europa. Sfidiamo il ministro degli Esteri con una domanda netta. Quasi provocatoria. Si fida di Giuseppe Conte? La risposta è immediata. «Mi fido ciecamente di Giuseppe Conte. Il presidente del Consiglio sa tenere la barra dritta nell’interesse nazionale». Per qualche istante Di Maio resta in silenzio. Come se pensasse alla partita che attende l’Italia e alle incognite che si agitano minacciose. «Abbiamo un solo vero obiettivo. Ambizioso. Decisivo. Il Recovery fund: 1.500 miliardi per riaccendere i motori. Tutto il resto è un dibattito limitante». Limitante? Di Maio annuisce. «Sì, il dibattito sui singoli cespugli è limitante. Il Mes vale per l’Italia 37 miliardi, il fondo antidisoccupazione Sure 100 miliardi in totale, la linea Bei 200. La sfida vera è allora giocare fino in fondo la partita sul Recovery fund. È camminare sulla strada maestra senza nemmeno valutare le alternative».

È mattina presto e Di Maio ha già letto i giornali. Il nodo ripartenza domina ancora la scena. E parlarne significa fare i conti con idee diverse, progetti diversi, date diverse. E con il crescente disorientamento dei cittadini. «È stato doloroso spegnere i motori dell’Italia, chiudere le aziende, imporre incredibili sacrifici. La vita, però, viene prima di tutto». Quelle ultime sette parole spiegano la strategia del governo. Di Maio insiste: «Non possiamo correre il rischio di aprire troppo presto. Una seconda ondata dell’epidemia sarebbe il colpo di grazia e la politica ha il dovere di evitarlo». È un’intervista "larga". Sull’Italia da «rimontare», sulla rinascita dopo il trauma, sui «nostri morti senza un funerale», sulle domeniche con Messe a cui non si può partecipare, sulle scelte da fare e sul disperato bisogno di unità. «Siamo in guerra e ne usciamo solo facendo squadra, solo collaborando, solo mettendo da parte le polemiche che da troppi anni segnano la nostra vita politica e sociale».

Ministro, pensi alla partita europea: non vedo unità. Nemmeno nei 5 stelle.

Mi faccia rivolgere un appello alla politica: schieriamoci tutti con il premier. Sosteniamo tutti Conte. Ho sempre pensato che il dibattito sia ricchezza e non voglio dare l’impressione che provi a censurarlo, ma oggi è vitale sospendere le polemiche. Facciamolo almeno fino a giovedì. Lavoriamo per dare al capo del governo la massima forza al tavolo finale.

Crede davvero che l’obiettivo Recovery fund sia possibile?

Nessun Paese ha una posizione granitica. Anche Olanda e Germania si stanno interrogando, stanno facendo il loro esame di coscienza. Gli effetti devastanti della crisi hanno stravolto il quadro e hanno attenuato quelle rigidità che ci hanno messo in ginocchio. L’Europa ha un’ultima occasione per dimostrarsi capace di solidarietà. Senza non ha ragione di esistere.

C’è chi immagina che per riaccendere i motori sia necessario Mario Draghi a Palazzo Chigi.
È un dibattito amaro, direi infelice. Draghi è un personaggio di indiscussa statura, ma usarlo per provare a indebolire Conte è ingiusto. Il governo, tutto il governo, lavora con un solo orizzonte: la fine della legislatura. Davanti a una emergenza così devastante bisogna ragionare con un programma di anni, non di mesi, e i giochini di Palazzo ed eventuali operazioni trasformiste non sono davvero tollerabili. Oggi serve unità, serve un patto per l’Italia, serve un solo fronte per giocare una sola partita. E soprattutto serve responsabilità.

Crede che un segnale possa arrivare da un secondo mandato al capo dello Stato?

Sergio Mattarella è un simbolo luminoso dell’unità del Paese. Non mi permetterei mai di dire "tocca ancora a lui", ma posso dire quanto in questa fase sia decisivo. Nelle relazioni internazionali. Nella trattativa europea. Ha un’autorevolezza senza pari... Poi, ovviamente, spetterà a lui decidere.

L’obiettivo unità pare messo a rischio anche dallo scontro tra governatori.

Non faccio colpe a quei governatori che hanno deciso di prendere strade personali. Ma ora lo Stato centrale, soprattutto nella fase 2, deve dare una risposta forte e prendersi le proprie responsabilità. Lo faremo ascoltando le regioni e tenendo conto del parere degli scienziati: le loro indicazioni sono state decisive dal primo giorno perché la priorità è difendere la vita e loro sono un punto di riferimento.

Il governatore De Luca ha dichiarato Saviano, il paese del funerale, "zona rossa"...

Una scelta doverosa. E, pur comprendendo il dolore di una comunità per il sindaco scomparso, come ministro ho il dovere di ribadire che bisogna rispettare le regole. Ma parallelamente evitare anche la spettacolarizzazione delle sanzioni in tv. Serve sobrietà e serve da parte di tutti. Ringrazio militari e forze di polizia per i controlli che stanno facendo, sono fondamentali, ma non mi piace pensare che qualche Comune usi le sanzioni per fare cassa, soprattutto in un momento in cui i cittadini fanno i conti con questa terribile crisi economica. L’Italia è stata chiusa e i cittadini hanno risposto composti ai sacrifici imposti dall’emergenza e decisi dalla politica, ora tocca a noi dimostrare la capacità di non farli restare indietro.

Eppure le risorse sembrano poche e i tempi troppo lunghi.

La burocrazia è un male da estirpare, un nemico da azzerare e questo è il momento di farlo. La ripartenza sarà più complicata della chiusura. Abbiamo smontato l’Italia e ora abbiamo il dovere di rimontarla meglio. Di correggere tante storture. Bisogna investire. Far partire le opere. Scommettere sui cantieri. In un momento di crisi come questo anche il Codice appalti va sospeso: no mille scartoffie, no mille certificati, no mille regolette. Bisogna, appena sarà possibile, solo aprire e lavorare.

Lei sa che le nostre aziende e i nostri marchi rischiano di diventare una preda per gruppi stranieri.

C’è un timore generale legato ad atteggiamenti predatori. Non solo della Cina. Ma abbiamo alzato le antenne e studiato le contromosse per evitare che l’Italia si trasformi nell’outlet di qualche altro Paese. Abbiamo creato uno scudo, abbiamo messo nero su bianco una regola: per comprare serve il via libera del governo.

La Cina è sul banco degli imputati anche per la storia del virus che sarebbe "scappato" ai laboratori di Wuhan.

Siamo sempre stati trasparenti e pretenderemo sempre trasparenza. Ma l’emergenza si supera con un mondo unito non diviso. Anche il vaccino si trova con una grande alleanza internazionale. Ho parlato nei giorni scorsi con Antonio Guterres, il segretario generale delle Nazioni Unite: nessuno può fare da solo, i tempi si accorciano se si va avanti insieme.

C’è un esercito di immigrati senza diritti, di uomini e donne "invisibili" che lavorano nei campi e nelle nostre case: non crede che regolarizzarli serva a tutelare salute pubblica e a garantire tenuta sociale?

Il vero tema è lo sfruttamento, e il caporalato è una vera piaga. E non vorrei che si stia parlando di immigrati nei campi perché ora manca qualcuno da pagare pochissimo. I diritti negati, tutti i diritti negati, sono un altro grande tema e nell’Italia che presto proveremo a rimontare non potrà essere dimenticato.

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