venerdì 24 novembre 2023
Lo show su Netflix, ispirato alla gara all’ultimo sangue della serie finita sotto accusa nel 2021, viene considerato adatto dai 7 anni. Fondazione Carolina: «Folle permettere ai piccoli di guardarlo»
Una scena di “Squid Game”

Una scena di “Squid Game” - .

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Il montepremi ammonta a 4,56 milioni di dollari – il più alto mai messo in palio in un reality show – e i concorrenti sono 456. Una macabra cabala ispirata al numero dei partecipanti alla serie tv Squid Game, cui Netflix s’è ispirata per un’operazione che ambisce a diventare il nuovo fenomeno tv per quest’inverno: trasformare il gioco (il cui obiettivo è vincere prevaricando gli altri fino ad ucciderli) in realtà, anche se nessuno alla fine muore davvero. In barba, però, a ogni forma di tutela dell’infanzia, visto che il programma è stato classificato come accessibile dai 7 anni in su. Per intendersi, adatto ai bambini dalla seconda elementare.

Peccato che la serie, già nel 2021, avesse sollevato l’indignazione e la protesta delle associazioni impegnate sul fronte dei diritti dei minori: si scoprì – ciò che a dire il vero era piuttosto prevedibile – che, nonostante la visione della serie fosse vietata sotto i 14 anni, spezzoni e trailer delle puntate più cruente circolavano su YouTube e tra le chat dei più piccoli. Col risultato che a scuola e ai giardinetti i bimbi avevano iniziato a mimare le gare previste dal gioco: Uno due tre stella (a chi si muove si spara, quindi si può dare un calcio o un pugno), tiro alla fune (la squadra che perde muore, quindi può essere insultata ed esclusa) e via dicendo. Ne nacque un putiferio, gli insegnanti corsero ai ripari affrontando in classe il tema della differenza tra la finzione e la realtà e l’importanza della cultura del rispetto dell’altro, non della violenza. «Ecco perché nella settimana della Giornata dei diritti dell’Infanzia e del terribile femminicidio di Giulia, in cui abbiamo invocato un ritorno all’educazione alle relazioni, siamo pieni di rabbia e di delusione» spiega Ivano Zoppi di Fondazione Carolina.

La onlus ispirata a Carolina Picchio, prima vittima riconosciuta di violenza online, lavora ogni giorno proprio sulla frontiera del disagio tra gli adolescenti: «Che sempre più spesso nasce dall’incapacità di trovare punti di riferimento e contenuti di senso sull’orizzonte che li circonda. Non è un caso se, da una recente sondaggio che abbiamo effettuato, il 60% dei ragazzi tra gli 11 e i 17 anni dice di rimpiangere il lockdown: 7 su 10 si sentono in ansia, la metà denuncia la mancanza di adulti in grado di prendersi cura di loro, il 47% non saprebbe a chi rivolgersi in caso di urgenza. Ora, davanti a questa ennesima beffa, siamo sicuri che le responsabilità siano solo dei nostri figli? Oppure è il mondo adulto che ha spezzato quella catena di valori e regole condivise che lega il susseguirsi delle generazioni?».

Il mondo fotografato dal reality di Netflix Squid Game: la sfida, infatti, è un inferno: i concorrenti – di nazionalità differenti (c’è anche un italiano, tal Lorenzo Nobilio, che si autodefinisce un «maestro manipolatore») – non hanno nomi, ma numeri, sono rinchiusi in un dormitorio e vigilati da guardie minacciose, hanno il cibo razionato, si alleano gli uni contro gli altri nella logica del bullismo e della prevaricazione del più debole, quando muoiono recitano la loro morte, con tanto di schizzi d’inchiostro a simulare i colpi andati a buon fine: «Un gioco al massacro che, se a un adulto può sembrare semplicemente sconfortante, ha invece effetti devastanti per la mente di un bambino – continua Zoppi – che non sa distinguere realtà o finzione, tanto più a fronte di un contesto narrativo iper realistico, che suggestiona per primi gli stessi giocatori». Unica regola della relazione con l’altro: la sopraffazione.

Alla richiesta di spiegare la scelta di non tutelare i più piccoli, posta a Netflix da Avvenire, il colosso ha deciso di non rispondere. Ora non resta che sperare nell’intervento di qualche organo deputato, almeno per omologare la classificazione della visione per età a quella della serie tv: «A cominciare dall’Agcom – proseguono da Fondazione Carolina – che per altro ha appena annunciato nuove misure in relazione ai parental control, con il blocco automatico di certi contenuti ai minori». Il richiamo vero, però, è a tutta la comunità educante «perché si torni alla tutela dell’infanzia in chiave culturale e sistemica. Questi segnali ci scoraggiano. L’onda emotiva su cui nascono decisioni e decreti non serve a cambiare le cose. È il momento di scegliere, tutti, se accettare questa follia o dire basta».

Fondazione Carolina, nel 2021, ha messo a disposizione una scheda educativa per famiglie, educatori e insegnanti. Uno strumento apprezzato dai genitori e dalle scuole e che oggi può tornare utile. Qui il link per scaricarla.

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