
Profughi imprigionati dentro carceri-lager in Libia
Potrebbe essere solo il primo di una lunga serie, l’arresto di ieri a Torino, di Njeem Osama Elmasry (Almasri), il capo della polizia giudiziaria di Tripoli. L’uomo è stato fermato nel capoluogo piemontese su mandato della Corte penale internazionale per crimini di guerra. Un arresto clamoroso perché si tratterebbe di uno dei personaggi “chiave” della rivoluzione libica, ai tempi di Gheddaffi, ma anche protagonista di un sistema dì violenze e di carcerazioni. L’informazione è stata diffusa dalla pagina Facebook ufficiale della Fondazione per la riforma e la riabilitazione di Ain Zara, una struttura carceraria di Tripoli, e rilanciata da diverse testate libiche, tra cui “Al Hadath Libya”. Il direttore della struttura, Abdel Moaz Nouri Bouaraqoub, ha condannato quello che ha definito un “arresto arbitrario” di Njeem, che è un generale di brigata, esortando le autorità libiche ad assumersi la responsabilità di questa situazione. «Il generale di brigata Osama al Najim è noto per il suo rigore, la sua dedizione e la professionalità nell’adempimento dei compiti affidatigli per molti anni. Preghiamo Dio Onnipotente che possa tornare sano e salvo al più presto», si legge nella dichiarazione.
L’uomo arrestato – che era capo della prigione e centro di torture libico di Mitiga – era balzato agli onori della cronaca nel 2022, nell’ambito degli scontri armati nella zona di Sabaa, a est della capitale libica Tripoli, vicino alla sede dei servizi segreti del ministero dell’Interno: a confrontarsi erano stati da una parte gli uomini della Guardia presidenziale guidati dal vice comandante Ayoub Bouras; dall’altra le forze della polizia giudiziaria Najim affiliate alla Rada, gruppo armato libico specializzato nella lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata guidato dal comandante salafita Abdul Rauf Kara. Il complesso di Mitiga ospita non solo l’unico scalo aereo civile che attualmente serve Tripoli, ma anche un’importante prigione dove sono detenuti oppositori politici e terroristi dello Stato islamico e una base aerea dalla quale partono i droni d’attacco di fabbricazioni turca. Non è chiaro a quali episodi si riferiscano i crimini di guerra contestati ad Al Najim. Non è esclusa una sua presunta partecipazione nelle fosse comuni trovate a Tarhuna dopo il cessate il fuoco in vigore dall’ottobre 2020 su cui sta indagando la Corte penale internazionale. «La cattura di Elmasry getta un’ombra inquietante sulla sua presenza nel nostro Paese – dichiara don Mattia Ferrari, cappellano di Mediterranea Saving Humans – Sappiamo che il potere della mafia libica cresce di giorno in giorno grazie ai respingimenti che l’Italia e l’Europa finanziano. Si parla di lotta ai trafficanti, ma intanto si finanziano i respingimenti, che fanno crescere il potere dei trafficanti. Dobbiamo insistere perché si fermino i respingimenti, perché ci si prenda per mano con i migranti e con la società civile e si costruisca una vera fraternità. É una via difficile, che richiede coraggio, ma é l’unica possibile per sconfiggere le mafie e le ingiustizie e per realizzare pienamente la nostra umanità».
«Almasri è la prova di come l’intero sistema libico, foraggiato in questi anni da milioni di euro dai governi italiani e dall’Unione Europea, sia atroce e criminale: banditi come Almasri hanno solo messo in pratica il mandato ricevuto di “fermare i migranti”, con mezzi e soldi delle istituzioni occidentali. Si nascondeva in Italia, ovviamente: perché qui i trafficanti si sentono al sicuro» attacca Luca Casarini di Mediterranea Saving Humans. «Ma siamo solo all’inizio – aggiunge – chi ha pagato Almasri per torturare, detenere, uccidere donne uomini e bambini?».