lunedì 2 settembre 2013
La sfida di Confindustria gioco: «Preferiamo aspettare l’appello». Il governo, nel decreto di cancellazione dell’Imu, ha inserito una «definizione agevolata» (in pratica un condono) del contenzioso con le società di slot-machines condannate a pagare 2,5 miliardi di "multa".
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Il banco non vuol pagare. Invitati a risarcire l’erario con 98,5 miliardi, poi condannati a versarne 2,5, infine "supplicati" di chiudere la faccenda con poco più di 600 milioni, i dieci big del gioco d’azzardo dicono che no, «a queste condizioni le aziende non aderiranno alla transazione».Già il "condono" (nel decreto si parla di «Definizione agevolata») aveva suscitato polemiche trasversali, dal Pd al Pdl a Scelta Civica fino al M5S. Ma per i signori delle scommesse il maxisconto non è abbastanza. A dirlo è il presidente di "Confindustria sistema gioco Italia", Massimo Passamonti, che contesta la sanatoria concessa dal decreto del governo sulla cancellazione dell’Imu. «Preferiamo aspettare il giudizio d’appello – preannuncia Passamonti – siamo sicuri che ci darà ragione». Insomma, sarà battaglia. E non solo sul fronte legale. I padroni dell’azzardo, volendo convincere delle loro ragioni, citano una sentenza del Consiglio di Stato, che «ha escluso qualsiasi responsabilità a carico dei concessionari».In realtà la decisione del Consiglio di Stato (marzo 2010), concedeva una sospensiva dopo aver preso atto di una contestazione legata al conteggio delle penali sulla base degli accordi siglati tra Monopoli di Stato e concessionarie slot nel 2008, mentre il testo originario degli accordi del 2004 prevedeva parametri differenti per il calcolo delle penali. La Corte dei Conti nello stesso anno aveva avviato un procedimento indipendente per chiedere il pagamento delle penali, che per la Guardia di finanza ammontavano a 98,5 miliardi, ma che secondo la Corte erano invece di 2,5 miliardi, tenuto conto che nella vicenda vi furono anche responsabilità pubbliche.Tutto ruotava intorno al mancato collegamento di alcune migliaia di macchinette mangiasoldi al sistema centrale che avrebbe dovuto monitorare il flusso delle giocate, sorvegliare la regolarità delle partite e calcolare quanto dovuto all’erario. Per oltre due anni, dal 2005 al 2007, il centralone su cui avrebbero dovuto vigilare i Monopoli di Stato se ne restò praticamente muto. Gli accertamenti tecnici disposti dalla Corte dei Conti confermarono che chi doveva controllare non lo fece a dovere (quattro funzionari pubblici sono stati condannati) e i signori dell’azzardo, a loro volta, certo non fecero a gara per chiedere il ripristino dei sistemi andati in tilt. Le slot-machine, intanto, continuavano a ingurgitare monete.«Si è preso in considerazione il contratto stipulato dai Monopoli con le società concessionarie – venne spiegato dagli ufficiali della Guardia di finanza durante il processo – e si sono applicate le penali previste per il mancato rispetto dell’accordo preso». Un’operazione aritmetica «e non una proiezione algebrica». Pur rivedendo al ribasso le multe inflitte alle dieci società concessionarie, i giudici ritennero vi fosse stato «un consistente danno a carico dell’erario a causa del mancato svolgimento del servizio pubblico di controllo sul gioco d’azzardo».Nel corso dell’intervista pubblicata ieri dal <+corsivo>Corriere della Sera<+tondo>, Massimo Passamonti si è sentito in dovere di impartire una lezione: «Questa vicenda non riguarda l’evasione fiscale e quindi non può essere un condono, come qualche ignorante continua a sostenere». La lettura della sentenza fa giustizia della presunta "ignoranza". Entrando nel merito, la Corte dei conti ha voluto ricordare che «un controllo costante ed in tempo reale sul volume delle somme giocate, le vincite e la percentuale di tributi (può garantirlo) soltanto il collegamento telematico, rendendo lecito questo tipo di gioco, riuscendo a recuperare anche l’evasione fiscale». Purtroppo «questo controllo sicuramente non c’è stato. Almeno per il periodo (gennaio 2005 - gennaio 2007) oggetto del giudizio».
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