
Profughi soccorsi in mare - .
È una crescita inarrestabile quella dei profughi nel mondo, in fuga da guerre e violenze. Sono più che raddoppiati negli ultimi 10 anni mentre sono retrocessi ai livelli del 2015 gli aiuti umanitari dopo i tagli decisi soprattutto dagli Stati Uniti di Donald Trump seguiti dai Paesi del G7. Lo rivela il nuovo rapporto annuale Global Trends diramato oggi dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati che, una volta di più, ribalta la percezione dei Paesi ricchi di essere invasi.
Infatti, il 73% dei rifugiati del mondo, una quota sproporzionata secondo l’agenzia del Palazzo di vetro, vengono ospitati nei Paesi a basso e medio reddito e la maggior parte, il 67%, rimane negli Stati limitrofi ai conflitti. Ma proprio i continui tagli agli aiuti umanitari mentre il numero di persone costrette a fuggire a causa di guerre, violenze e persecuzioni in tutto il mondo è insostenibilmente alto, avverte il report, rischiano di provocare ulteriori movimenti forzati verso Europa e Italia. Crescono anche i rimpatri, ma non sempre è una buona notizia. Secondo Global Trends , alla fine di aprile c'erano 122,1 milioni di sfollati con la forza, rispetto ai 120 milioni dello stesso periodo del 2024. Il 40% sono bambini. Da un decennio gli aumenti sono continui e il numero di profughi è raddoppiato. Gli sfollati all'interno del proprio Paese a causa di un conflitto sono cresciuti bruscamente di 6,3 milioni fino a 73,5 milioni alla fine del 2024, e i rifugiati in fuga dai loro Paesi sono 42,7 milioni di persone, tra i quali i 5.9 milioni di palestinesi sotto il mandata Unrwa.
Con 14,3 milioni di rifugiati e sfollati interni, il Sudan rappresenta ora la maggiore crisi di sfollati e rifugiati al mondo, prendendo il posto della Siria (13,5 milioni), seguita da Afghanistan (10,3 ) e Ucraina (8,8 milioni). In forte aumento i profughi nel Sahel centrale (più 3.5 millioni) con una crescita del 90% in cinque anni. Mentre ad Haiti le violenze delle gang hanno triplicato gli sfollati, passati da 300 mila a un milione nel 202. I principali fattori che determinano la fuga rimangono i grandi conflitti come quello in Sudan, Myanmar e Ucraina e l’incapacità della politica di fermare i combattimenti.
Il rapporto rileva che, contrariamente alla percezione diffusa nelle regioni più ricche, il 67% dei rifugiati rimane nei Paesi limitrofi e i Paesi a basso e medio reddito ospitano il 73% dei rifugiati del mondo. Questi Paesi rappresentano il 9% della popolazione mondiale e solo lo 0,6% del prodotto interno globale, eppure ospitano il 19% dei rifugiati. Ad esempio vi sono popolazioni di rifugiati molto numerose in Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Sudan e Uganda. Il 60% delle persone costrette a fuggire non lascia mai il proprio Paese. In proporzione alla popolazione il Libano con un rifugiato ogni 8 abitanti è il paese più accogliente seguito dall’isola di Aruba (1 su 9) e, appunto, dal Ciad (1 su 16).
«Viviamo in un periodo di intensa volatilità nelle relazioni internazionali - ha commentato Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati - con la guerra moderna che crea un panorama fragile e straziante, segnato da un'acuta sofferenza. Dobbiamo raddoppiare gli sforzi per cercare la pace e trovare soluzioni durature per i rifugiati e le altre persone costrette a fuggire dalle loro case».
L’evaporazione dei finanziamenti umanitari, tornati ai livelli del 2015, sta rendendo la situazione insostenibile per i più vulnerabili. Le donne rimangono senza protezione, i bambini senza scuole, intere comunità senza acqua e cibo. L’unico elemento positivo è rappresentato dalla ripresa dei ritorni a casa, in particolare in Siria, ha dichiarato l’Agenzia dell’Onu per i Rifugiati.
«Anche a fronte di tagli devastanti, negli ultimi sei mesi abbiamo visto barlumi di speranza - ha aggiunto Grandi. -. Dopo oltre un decennio di esilio, quasi due milioni di siriani sono riusciti a tornare a casa. Il Paese rimane fragile e le persone hanno bisogno del nostro aiuto per ricostruire nuovamente le loro vite».
Sembra una buona notizia che 9,8 milioni di persone siano tornate a casa nel 2024, fra loro 1,6 milioni di rifugiati (il numero più alto da più di due decenni) e 8,2 milioni di sfollati interni (il secondo numero più alto di sempre). Ma a parte i siriani, una parte di questi ritorni sono avvenuti in un clima politico o di sicurezza sfavorevole. Ad esempio, un gran numero di afghani è stato costretto a tornare in patria nel 2024 in condizioni disperate. In Repubblica Democratica del Congo, Myanmar e Sud Sudan si sono verificati nuovi e significativi flussi di persone in fuga contemporaneamente al ritorno di rifugiati e sfollati interni.
«Stiamo attraversando un periodo storico particolarmente complesso,- ha affermato Chiara Cardoletti, rappresentante dell’Unhcr in Italia, Santa Sede e San Marino - in cui la diffusione dei conflitti mette a nudo la vulnerabilità umana, spesso soffocata da scetticismo e indifferenza. In questo tempo il dolore degli altri può sembrarci distante, ma in realtà ci tocca da vicino. Viviamo in un mondo dove ciò che accade altrove ha conseguenze anche su di noi. Quando le emergenze umanitarie ricevono risposte inadeguate, le conseguenze non si limitano ad aumentare le sofferenze umane, ma generano anche una maggiore instabilità. Tagliare gli aiuti rischia di spingere più persone alla disperazione, innescando ulteriori fughe - anche verso Europa e Italia - e aggravando crisi che diventeranno ancor più difficili da affrontare in futuro. Si tratta di un circolo vizioso che dobbiamo urgentemente cercare di spezzare».
Il rapporto Global Trends chiede di continuare a finanziare i programmi che salvano vite umane, assistono i rifugiati e gli sfollati interni che tornano a casa e rafforzano le infrastrutture di base e i servizi sociali nelle comunità ospitanti, come investimento essenziale per la sicurezza regionale e globale.