venerdì 31 luglio 2020
Ieri i funerali del tedicenne: «Insegnerai a suonare nel pozzo». La Messa presieduta dall’arcivescovo Redaelli. Intanto proseguono le indagini sulla tragedia
Il feretro di Stefano all’uscita della chiesa

Il feretro di Stefano all’uscita della chiesa - Collaboratori Avvenire

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«Sono andato avanti» annunciava Stefano, volto sorridente, dall’epigrafe. «L’abbraccio di Dio avvolge me, mamma, papà, Chiara, i nonni, gli zii, tutti gli amici e le persone che mi vogliono bene. Pregherò insieme a voi giovedì, al campo sportivo dell’Azzurra a Straccis». Ieri pomeriggio in mille si sono riuniti per accompagnarlo. Stefano Borghes è il ragazzo di 13 anni che la settimana scorsa è caduto nel pozzo di un parco a Gorizia, nel corso dei giochi del Centro estivo, ed è stato recuperato morto. Stefano stesso, dunque, ha dato appuntamento a familiari ed amici, prima in chiesa del Sacro cuore, e poi ai funerali, nel campo dove giocava con l’Azzurra.

In chiesa sono stati mamma e papà a confortare quanti hanno pregato accanto alla bara, coperta da un cuscino di fiori in cui spiccavano i girasoli. Fuori il lutto cittadino e la folla sterminata, rispettosa delle precauzioni antiCovid. «Stefano, insegna agli angeli a suonare» si leggeva in un cartello. «Non sarà mai solo, Dio è con te» hanno cantato i ragazzi. È stato l’arcivescovo di Gorizia, Carlo Roberto Maria Redaelli, a presiedere la concelebrazione.

Don Stefano Goina, parroco dell’Unità pastorale del Sacro Cuore e San Giusto ha pronuciato l’omelia. Bianchi i paramenti. Davanti a tutti gli amici del centro estivo, organizzato dalle parrocchie, i compagni di scuola, quelli delle squadre giovanili della città, gli allievi della scuola di musica che lui stesso frequentava. A rappresentare la città il sindaco Ziberna, la Regione l’assessore Callari.

«Ci saranno tante verità, intorno a te e alla tua morte – così il suo parroco, don Stefano, si è rivolto al ragazzo che ben conosceva –: quella giudiziaria, che deve fare il suo corso, ma non è certo quella definitiva; quelle di chi lo conosceva, come tanti punti di vista, tanti ricordi, esperienze fatte insieme, notizie raccolte qua e là, ma che non dicono tutto e non potranno mai dir tutto su Stefano, che aveva davanti tantissime possibilità da esplorare e tante strade da poter percorrere: la musica, lo sport, lo studio».

E poi ha ricordato che domenica scorsa, nella chiesa di San Giusto, c’era un mazzetto di fiori ed un lumino ad occupare la sedia su cui spesso si sedeva il ragazzo; ma non era l’unico posto da lui occupato; ce n’era anche uno nella sua squadra di calcio, e soprattutto nella sua casa, nella sua famiglia, e tra i suoi amici. Stefano non li occuperà più. «Siamo coscienti, ma Stefano è vivo in Cristo. Vogliamo onorare la memoria di Stefano? Cerchiamo di vivere nell’amore tra di noi, e scopriremo il segreto dell’eternità: non è uno slogan, ma una verità che ha bisogno di tempo, pazienza e costanza per essere compresa. Aiutiamoci vicendevolmente a percorrere questa strada». L’amore, appunto. «Se volete farmi un regalo – l’invito di Stefano dalla sua epigrafe –, potete portare un’offerta che destineremo alle famiglie della Comunità Papa Giovanni XXIII». E così è stato.

Intanto continuano le indagini sulla vicenda. Lunedì sarà sentito l’amico di Stefano che è il testimone diretto dell’incidente. Le attività estive erano organizzate dalle parrocchie, il parco è comunale. L’Arcidiocesi ha ribadito la propria fiducia nella magistratura, ma anche nell’operato degli animatori direttamente coinvolti nella tragica vicenda.

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