venerdì 7 agosto 2020
La mini-movida di un sabato sera cambia la vita di una comunità di montagna. Test di massa per i mille abitanti. "Non chiamateci focolaio, siamo sicuri"
Una veduta di Montecopiolo

Una veduta di Montecopiolo - .

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Per chi arriva dalla costa o dalla città, Montecopiolo è una piccola e tranquilla località di montagna, mille abitanti sparsi in tante frazioni al confine tra le Marche e l’Emilia Romagna, luogo di pace e silenzio immerso nelle dolci colline del Montefeltro. Una di quelle mete predilette da chi ama le passeggiate e i panorami da contemplare, dai ciclisti che si mettono alla prova, da chi cerca relax per il corpo e nutrimento per l’anima. D’estate la popolazione triplica, coi turisti che arrivano ad abitare le decine di villette costruite negli anni 70. La sera o nei fine settimana, come in altri borghi, si sale fin qui da Rimini, Pesaro, San Marino, a cercare buoni ristoranti, aria fresca, feste o sagre per stare bene in semplicità.

Quest’anno però Montecopiolo è più tranquilla del solito: nelle strade si potrebbe giocare a palla, nei giardini delle case capita di veder gironzolare i caprioli, nei ristoranti aperti non serve prenotare, la sera è silenziosa come fuori stagione. Un paradiso esclusivo, si direbbe. Ma è questione di punti di vista. Per la gente del posto questa situazione è un peso, per commercianti e ristoratori un incubo. L’immagine delle auto in coda nella piazza della frazione di Villagrande, con a bordo i residenti che aspettano il proprio turno, le mascherine sul volto, per sottoporsi volontariamente al tampone del Covid, restituisce il clima di un’estate che non avrebbe dovuto essere così, non dopo tre mesi di lockdown.

Montecopiolo è entrato nelle cronache della difficile “fase due”, quella della vita che riparte e che cerca di prendere le misure per convivere col virus. Ma è anche il concentrato di quello che dalla pandemia si può imparare per non venirne travolti. Tutto è incominciato un sabato sera, il 18 luglio: una cena di persone venute da fuori per festeggiare un battesimo, un tavolo vicino di giovani del posto, un ritrovo al bar della classe ’79, una bancarella che frigge pesce, ragazzi del paese e altri che li raggiungono da paesi vicini.

C’è movimento, e alla fine un centinaio di persone dà vita a un assembramento festoso, una movida come tante se ne sono viste un po’ ovunque in Italia e nel mondo. Tra un calice alzato e una mascherina abbassata il virus festeggia anche lui. Nessuno sa chi lo ha portato e da dove. Dopo due giorni una persona ha sintomi leggeri, i tamponi ai contatti rivelano altri contagi, in un paio di settimane si passa da 5 a una trentina di positivi, soprattutto tra i parenti e gli amici stretti.

I contagiati e le loro famiglie si isolano in quarantena. Il Comune ripristina l’obbligo di mascherina, chiudono i parchi giochi per bambini, si sospende temporaneamente il calendario della pro loco. Don Ivan Fattori, il parroco, celebra la Messa in piazza, e invita la comunità a restare unita, a dare un senso a questa prova. L’azienda sanitaria evita di istituire una “zona rossa”, ma decide per il tampone a tutta la popolazione, come a Vo’ Euganeo, paragone che non aiuta ma se servirà a fare chiarezza può aiutare a ripartire più forti.

«Questo screening di massa è un test scientifico, ma almeno dirà come siamo messi – spiega il sindaco Pietro Rossi –. Qui è stato fatto tutto quello che si poteva fare per mettere il paese in sicurezza. Montecopiolo è pulito e visitabile, perché mentre noi ora diamo tutte la garanzie, in altri posti le persone affollano le feste e i locali sono pieni».


Basta la mini-movida di un sabato sera e il suggestivo borgo di mille abitanti tra Romagna e Marche si ritrova di nuovo in quarantena. Tampone volontario per i cittadini, ma per il turismo è un dramma: «Un entroterra come il nostro non può permettersi di chiudere e perdere l’estate»

Il problema del virus è che non sa leggere Google Maps e lascia molti danni collaterali. Tutto sembra sotto controllo, ma la parola focolaio ha creato il vuoto. «Il sabato sera d’estate facciamo 200 coperti, la settimana scorsa c’erano 20 clienti, così non riusciamo ad andare avanti», dice Lorenza Grassi del ristorante “La Baita” di Villagrande. «Abbiamo saltato tutte le festività e i ponti quest’anno, abbiamo appena riaperto con tutto in regola, ma se perdiamo anche la stagione come faremo?», aggiunge Serena Casini del ristorante “The View” alla frazione Santa Rita.

Per capire il dramma bisogna comprendere quanto è importante l’estate per chi vive di turismo, e poi rapportare tutto all’economia di una località sugli Appennini: luglio e agosto sono i mesi in cui si mette il fieno in cascina per riaprire la stagione successiva. Al resort “Parco del Lago” i clienti arrivano da lontano per trovare un’oasi di benessere che è già un ritiro protetto, dunque il colpo può sembrare meno duro: «Siamo al 40% in meno di ospiti – spiega il titolare Massimiliano Druda –, ma proprio nel momento in cui avremmo dovuto recuperare dopo il lockdown. Se non ci sarà un aiuto per un’emergenza che abbiamo subìto, rischia di farne le spese un intero territorio».

Si parla di 100 posti di lavoro che vacillano. È anche il conto del neo-negazionismo, dei proclami pubblici sul virus che ha perso forza e non fa più danni. Qui ora la gente l’ha presa come una sfida: «Vogliamo dimostrare che siamo il Comune più sicuro della zona», si sente dire nei bar. Il discorso supera l’emergenza del Covid e conduce a riflettere sulla fragilità di un sistema di montagna, dove si può procedere con lentezza, ma fermarsi non è previsto, nel momento in cui il mondo riscopre il valore dei borghi come risposta all’urbanizzazione e a quello stile di vita di cui si nutrono i virus e che non appartiene alla natura di questi luoghi. Forse questa crisi aiuterà a capirlo.

«Tutti parlano dell’importanza dell’entroterra, ma è soprattutto in estate che le persone scoprono il nostro territorio, consentendogli di sopravvivere – dice il sindaco Rossi –. Abbiamo fatto sforzi enormi per metterci in sicurezza, siamo montanari e sappiamo che dobbiamo andare avanti imparando a convivere col virus, senza paura. Non possiamo permetterci altre chiusure, la nostra è la battaglia di tutto l’entroterra».

I test proseguono, nel fine settimana il responso. Le auto si mettono in fila al drive-in dei tamponi ripulite dal fango e dalla terra delle strade contadine. Davanti alla Pro loco si cataloga l’anagrafe degli esami. Attorno è il silenzio unico di boschi e prati verdissimi, delle pinete, della faggeta, dell’eremo santuario Beata Vergine del Faggio, sul monte Carpegna, delle rovine del castello dei Montefeltro, dei caprioli nelle villette. Per i pochi turisti è come una vacanza fuori stagione, ma è quasi Ferragosto.

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