martedì 28 luglio 2009
Dopo l’allarme lanciato da Avvenire, la politica tenta le prime risposte. Ma la situazione resta molto difficile. Ieri si è registrato un nuovo suicidio.
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Vada pure per le nuove car­ceri, ma basterà? Le asso­ciazioni umanitarie e i sin­dacati continuano a battere sulla necessità di introdurre misure al­ternative alla detenzione. Il governo, invece, sembra avere un altro o­rientamento: secondo il sottosegre­tario alla Giustizia Maria Elisabetta Alberti Casellati, l’ipotesi di lavoro che il Guardasigilli sta studiando con maggiore attenzione è quella degli accordi bilaterali per far scon­tare la pena agli stranie­ri nei loro Paesi d’origi­ne. Il primo approccio, con la Romania, l’anno scorso insieme al mini­stro dell’Interno Rober­to Maroni. Sui tempi e sulle possibilità concre­te di portare a termine trattative del genere re­gna però la prudenza. In agenda, continua la se­natrice, è anche la prati­cabilità di «strutture più leggere per la custodia cautelare», distinte dun­que dalle prigioni vere e proprie. Sta di fatto che i dati riportati do­menica da Avvenire, riguardanti l’aumento dei suicidi in cella e il tra­bordare dei detenuti (64mila) ri­spetto alle capienze regolamentari (43mila), interpellano la politica e gli addetti ai lavori. La soluzione di medio periodo è nota: sul tavolo del ministro della Giustizia Angelino Al­fano giace un piano firmato da Franco Ionta, capo del Dipartimen­to dell’amministrazione peniten- ziaria e commissario straordinario per la gestione dell’emergenza. Lo si conosce in termini generali: 1,5 mi­liardi di euro per circa 18mila nuo­vi posti letto, ottenuti con ristruttu­razioni, nuovi padiglioni da aggre­gare ad edifici già esistenti, una ven­tina di istituti da costruire e altri (meno di dieci) da completare. Il tut­to accompagnato da procedure d’urgenza per saltare qualche pas­saggio burocratico. Ma le domande sono tante. Usci­ranno i soldi per le nuove strutture? Al momento ci sono nel piatto cir­ca 400 milioni, e l’esecutivo aspetta una risposta forte dei privati. E poi, a nuovi posti-letto corrispondono nuove guardie, mentre dal 2001 - de­nuncia il Sappe, che rappresenta la polizia carceraria - il loro numero è calato di 5.500 unità: ci saranno i concorsi? «È un problema com­plesso », ammette il sottosegretario. Ma soprattutto, prevedendo che i cantieri - nonostante le 'corsie pre­ferenziali' - non apriranno a breve, gli addetti ai lavori si chiedono co­sa si può fare subito. I racconti dal­le prigioni sono impressionanti. In casi-limite ci sono dodici (e più) persone in dodici me­tri quadrati. Ovvero un me­tro quadro a testa. Si dorme a turni. I nuovi arrivati ripo­sano a terra, su materassi senza brandine. Godere de­gli spazi esterni e delle ore d’aria è difficile. Il turn-over tra chi entra e chi esce crea scompiglio. Così sale la ten­sione, si rischiano disordini ogni giorno. E capita che la disperazione prenda il so­pravvento, come dimostra­no i dati sui suicidi. Ecco allora tornare in auge le 'pene alternative' e il pro­posito di aggiornare la leg­ge- Gozzini dell’85. Tra gli i­stituti innovativi il segreta­rio generale Sappe, Donato Capece, propone la 'messa in pro­va' di chi commette reati che non destano allarme sociale, i lavori so­cialmente utili senza ritorno not­turno in cella (ma con prelievo sul salario per ricompensare le vittime), la libertà su cauzione. E poi, un vec­chio pomo della discordia: il brac­cialetto elettronico, esperimento fallito nel 2001. Chi lo sostiene af­ferma però che la tecnologia è di­ventata più affidabile. Per il mo­mento, fa sapere la Casellati, non sono misure in valutazione. Ma non è detto che la chiusura sia definiti­va. In ogni caso il fronte che sostie­ne interventi immediati non desi­sterà: domani presenteranno le lo­ro proposte, in una conferenza stampa congiunta, penalisti, sinda­cati e associazioni.
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