martedì 22 novembre 2022
Aveva 67 anni. Tre volte ministro, è stato vicepresidente del Consiglio e presidente della Regione Lombardia. Lottava da tempo contro una grave malattia
È morto Roberto Maroni, il "barbaro sognante" della Lega

Ansa

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"Sto bene, sto facendo tutte le cure". Così Roberto Maroni, 67 anni, scomparso nella notte tra lunedì e martedì, dopo una lunga malattia, ha ripetuto fino alla fine alle persone a lui più care, per rassicurarle rispetto a quella “sentenza” che i medici gli avevano annunciato poco più di un anno e mezzo fa. Bobo, così lo chiamavano gli amici fin dal liceo e nella Lega Nord, era consapevole della sua malattia ma ciò non gli impediva, da grande ottimista che è sempre stato, di appassionarsi ancora alle sue cose e ad inseguire i sogni. Come la musica, il Milan, la vela e soprattutto la politica, anche se negli ultimi mesi a detta sua non occupava più un posto privilegiato in agenda, nonostante non gli piacesse “l’andazzo” della Lega di Matteo Salvini, troppo diversa dalla sua e da quella fondata da Umberto Bossi. Già “il Bossi”, suo amico da una vita, un fratello maggiore, con cui nel bene e nel male ha condiviso tutto.

Tre volte ministro e una volta vicepresidente del Consiglio dei ministri, segretario della Lega Nord, governatore che improvvisamente lasciò la sua Lombardia, non candidandosi ad un nuovo mandato poi “ereditato” dall’attuale governatore Attilio Fontana. Proprio come Maroni, Fontana arriva da Varese, anche “l’Attilio” era un suo amico. A Maroni piaceva sempre distinguersi in ambito politico, per questo le sue visioni “diverse” sulla Lega e l’essere leghisti gli fecero guadagnare sul campo il titolo di “barbaro sognante”.

Non si può parlare di Maroni senza ricordare pure Bossi, insieme fondarono la Società Cooperativa Editoriale Nord Ovest, una delle tante genesi della Lega Lombarda, e insieme andavano in giro la notte a scrivere sui muri perché diceva “l’Umberto” «sono i libri dei popoli». Era simpatico Roberto Maroni, una simpatia quasi british, quasi perché il look era più da cowboy, forse perché con gli amici gli piaceva suonare la musica soul e non quella dei Beatles. Laureato in giurisprudenza e avvocato con Bossi ebbe – come tutti - dei problemi: da ministro dell’Interno nel primo governo Berlusconi, tra il 1994 e il 1995, firmò il decreto dell’ex esponente del Partito liberale italiano Alfredo Biondi, che fu ribattezzato «salvaladri». Bossi non la prese bene (eufemismo) e decise di sfiduciare il primo governo Berlusconi ma lui no, si oppose. Fu il caso del “Ribaltone” con la prima diaspora certificata di leghisti passati a Forza Italia. Il popolo del Carroccio si arrabbiò, ma Bossi lo salvò dalle ire della base, confinandolo all’Aventino ("Bobo ora tu stai un po’ in disparte…"). L’anno dopo, nel 1996, sul campo si guadagna sul campo il perdono prendendo l’unica condanna della sua vita, quella per aver aggredito uno dei poliziotti della Digos che stavano perquisendo il quartier generale milanese del Carroccio in via Bellerio dopo l’annuncio di Bossi di aver fondato la Guardia nazionale padana. Dai tafferugli uscì in barella sotto gli occhi delle telecamere e per quel gesto di ribellione – che non era da lui - la base leghista lo perdonò.

Al Viminale si conquistò la palma di «miglior ministro dell’interno di sempre», a certificarlo fu soprattutto la sinistra, per lui che aveva origini nel ’68 fu un attestato di stima non di poco conto. Quando coordinò il Welfare un grande dolore caratterizzò il suo mandato: le nuove Br uccisero il giuslavorista Marco Biagi.

Nel 2011 gli scandali sui conti economici investirono la Lega, così lui e Matteo Salvini organizzano il passaggio di consegne del grande capo: Bossi. Maroni diventa segretario nel 2012, carica che lascia per diventare poi governatore della Lombardia. Nel 2018 annuncia che non si sarebbe ricandidato ad un nuovo mandato. Così va via e con 5 amici attraversa l’Oceano Atlantico in barca vela per poi dedicarsi al ruolo di “capitano d’industria”, presenziando in diversi consigli di amministrazione di importanti società. Nell’ottobre 2021 entra nella Consulta contro il caporalato chiamato dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, fatto che infastidì non poco Salvini. Aveva anche pensato di tornare in politica, candidandosi a sindaco della sua Varese, ma la malattia lo ferma.

I funerali si svolgeranno venerdì a Varese, nella basilica di San Vittore, alle 11 e poi in forma privata a Lozza, paese dove risiedeva da sempre.

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