martedì 10 giugno 2025
Tajani rilancia lo «Ius Italiae», Salvini lo ferma e lui si irrita: «Non prendo ordini». Conte reagisce ai sospetti dem sui Sì mancati al quesito. Schlein e Meloni litigano sui social
Non c'è pace sulla cittadinanza: ora nei partiti è tutti contro tutti

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Oggetto del quesito più controverso del referendum, il tema della cittadinanza semina discordia nelle coalizioni. E se a sinistra il sospetto di sabotaggio da parte degli elettori del M5s spinge Conte a disconoscere la strategia che puntava a risolvere la questione col voto popolare, a destra si riaccende il duello tra FI e Lega, con gli azzurri intenzionati a ripresentare una loro proposta e il Carroccio pronto alle barricate.

Il presidente pentastellato ammette di aver lasciato libertà di voto ai suoi elettori, anche se lui, assicura, ha votato sì e in ogni caso il dimezzamento dei tempi per acquisire la cittadinanza «è un tema su cui il M5s è sul pezzo» e resta «una battaglia giusta». Tuttavia, osserva, «lo strumento del referendum è sbagliato». Meglio ripartire dallo Ius Scholae, «dove anche il centrodestra andrebbe sfidato, perché Forza Italia ha una proposta un po' simile alla nostra», benché «non del tutto assimilabile». Conte ne è convinto: è lì che vanno concentrate le forze e, visto che sia Tajani sia Calenda si dicono disponibili, tanto vale giocare a carte scoperte: «Vediamo se sono solo chiacchiere, come è già successo nella scorsa estate o se finalmente si vuole fare sul serio».

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Magi, che di quel quesito è stato il principale promotore come leader di Più Europa e che proprio da questo giornale ha palesato il suo sospetto sul voto dei 5s, non crede alle parole dell’ex premier, che a suo dire «cerca alibi per non fare nulla». Il problema, però, non è solo dei 5s perché, stando alle analisi dei flussi dell’istituto Cattaneo, anche il 15%-20% degli elettori dem avrebbe votato no. A tirare le somme è la senatrice Malpezzi, convinta della necessita di una seria analisi della sconfitta, anche e soprattutto sulla cittadinanza: «La risposta mi ha sorpreso – dice –. Da lì dobbiamo ripartire, con lo Ius Scholae. Su questo puoi sfidare la destra». Più in generale, osserva la collega di partito Serracchiani, è ora di capire che la base elettorale del referendum «non è sufficiente per costruire l’alternativa alle destre» e «per battere Meloni non basterà schierarsi contro».

Sul fronte opposto, se possibile, c’è ancora più tensione. Meloni però non sembra preoccupata e anzi trova il tempo di irridere gli avversari con un selfie in cui sfoggia un sorriso brillante e un’eloquente didascalia: «Elly Schlein dice che i voti del referendum dicono no a questo governo...». Post al quale la segretaria dem replica poco dopo con un commento in cui ricorda quando la premier chiedeva rispetto per i votanti al referendum sulle trivelle: «La coerenza, questa sconosciuta».

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Il problema nella maggioranza sono Tajani e Salvini. Le posizioni leghiste sulla cittadinanza sono note e il leader del Carroccio le ha ribadite. Ma il ministro degli Esteri non sembra curarsene, anzi, rilancia: «Il risultato del referendum ha dimostrato che avevamo ragione: 5 anni sono pochi. Noi diciamo che va concessa a dieci anni di scuola passati con profitto. Così conosci la lingua, la storia, in qualche modo la Costituzione». E Salvini? «Non è che devo chiedere l'autorizzazione a qualcuno se voglio presentare una legge in Parlamento – taglia corto Tajani –. La cittadinanza è una cosa seria. Non do ordini a nessuno ma nemmeno ne prendo da nessuno». Il che però non significa assecondare un riconoscimento indiscriminato dei requisiti per la cittadinanza: «Noi abbiamo ritirato la cittadinanza a cinque Hezbollah – ricorda – sappiamo che cosa succede con la concessione della cittadinanza. Meglio la cittadinanza dopo dieci anni di scuola che dopo dieci anni passati a bighellonare nelle stazioni o ai giardinetti». E ora che Conte ha lanciato la sfida il leader azzurro non si tira indietro: «La nostra proposta sullo Ius Italiae è depositata alla Camera ed al Senato. Invece di fare dichiarazioni di propaganda Conte ci dica se è favorevole ad un percorso di 10 anni di scuola frequentati con profitto per ottenere la cittadinanza italiana».

Referendum da cambiare, le proposte delle due coalizioni

Anticipate dai commenti a caldo dei protagonisti, il giorno dopo il voto fioccano le proposte di restyling dell’istituto referendario. Da una parte, quella più a destra, per aumentare il numero di firme necessarie per proporre la consultazione. Dall’altra per abbassare il quorum, ma concedendo comunque l’innalzamento dell’asticella per la raccolta delle sottoscrizioni.
Lato maggioranza, la posizione si esprime nel ddl presentato da Forza Italia in Senato, che propone di modificare il primo comma dell'articolo 75 della Costituzione, portando il numero minimo di firme necessarie da 500mila a 1 milione e quello dei consigli regionali da 5 a 10. In questo modo, spiega Maurizio Gasparri, «diamo concretezza alle indicazioni politiche che anche ieri ha espresso il nostro segretario nazionale. Non vogliamo certamente superare uno strumento di partecipazione democratica, ma vogliamo che sia supportato da un più ampio sostegno, soprattutto oggi che, con le nuove tecnologie, la raccolta delle firme è molto facilitata». Dunque, puntualizza il capogruppo azzurro a Palazzo Madama, «non si tratta di banalizzare», piuttosto di «rafforzare uno strumento di democrazia il cui abuso può portare al fallimento». E di farlo «con tempestività» favorendo «una rapida decisione in materia».
Ovviamente la ricetta forzista non piace alla controparte, che pure ritiene doveroso intervenire, ma in modo diverso. Di sicuro, osserva il senatore dem Marco Meloni, la proposta di FI è irricevibile ed equivale a «un attacco alla partecipazione democratica», perché raddoppiare semplicemente le firme e il numero di Consigli regionali necessari per richiedere l'abrogazione di una legge «significa rendere quasi impossibile l'iniziativa referendaria dal basso». Una proposta di chiaro imprinting berlusconiano, argomenta ancora il senatore democratico, che punta a «piegare le leggi alla convenienza del momento». Tuttavia, lo strumento va rafforzato anche secondo il Pd, che intende farlo riproponendo la proposta avanzata nel 2021 dal senatore Dario Parrini: «Un disegno di legge che prevedeva di portare le firme a 800mila e di rapportare il quorum del 50% necessario per la validità del referendum alla percentuale dei votanti alle ultime elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati. Una proposta – conclude Meloni - pensata per rafforzare, anziché depotenziare, il ruolo del referendum nella vita democratica del Paese».

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