venerdì 26 gennaio 2018
Polemiche e domande dopo l’incidente a Pioltello, nell’hinterland milanese, al convoglio che trasportava studenti e lavoratori. Aperta inchiesta a carico di ignoti per disastro ferroviario
Treno deragliato a Pioltello. Ecco cosa non ha funzionato
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Lo abbiamo sentito dire tante volte, «le ferrovie italiane sono le più sicure al mondo». E valutando le tecnologie e i mezzi esistenti nel Belpaese non si può dissentire: su circa 16.700 km di binari (il 45% è a doppio binario) tutte le linee hanno uno o più sistemi di controllo della marcia del treno. E dopo la tragedia di Corato dell’anno scorso anche le linee cosiddette “concesse” (dove cioè operano i privati) devono essere dotate di queste tecnologie, altrimenti è impedita la circolazione. Anche i dati parlano chiaro: tra il 2006 e il 2015 in Italia si sono registrati 724 morti e 506 feriti sulle nostre ferrovie, quando in Polonia i morti sono stati oltre 2.800 e i feriti quasi 1.900 e in Germania oltre 1.500 morti e più di 1.400 feriti.

I nostri sistemi sono all’avanguardia: abbiamo una flotta diagnostica con due convogli (Diamante e Aiace) per l’alta velocità, l’Archimede per le linee normali, il Galileo per le secondarie non elettrificate e due locomotive (Caronte) che sono prodotte in Puglia da Mer Mec, azienda che esporta in tutto il mondo. Non solo: i binari vengono periodicamente controllati con un sofisticato sistema a ultrasuoni e sostituiti in base all’usura che varia dal numero di treni passanti e dal peso dei convogli.

Com’è possibile, allora, che si verifichino incidenti come quello di ieri a Pioltello? Cedimento strutturale, la prima risposta sulla tragedia in questione: in particolare, il distacco di 23 centimetri della parte chiamata “fungo” (quella alta per intenderci) di una rotaia all’altezza di una giunzione che, di norma, è saldata. La cui sostituzione sarebbe stata preventivata a ore.

Eppure un video, ora al vaglio degli inquirenti, mostra il treno transitare in stazione, a Pioltello, lasciando dietro di sé una scia di scintille: il che accade generalmente per il surriscaldamento dei freni, ma potrebbe essere anche causato dal distacco di un qualche componente del carrello. In attesa che le indagini facciano chiarezza, ieri intanto è stato un susseguirsi di “denunce” più o meno veritiere. Prima fra tutte, quella sui «treni vecchi». Legambiente denuncia che sulla tratta che «conta 10mila pendolari al giorno» l’età media dei treni «è di 17 anni».

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Il convoglio deragliato in effetti era composto da 5 carrozze Mdvc costruite a partire dagli anni ’80 e, in particolare, la vettura totalmente distrutta è datata inizi ’85. Le carrozze però nel corso della loro carriera hanno subito diversi interventi di restyling (che riguardano non solo gli interni, gli arredi e la climatizzazione ma, e soprattutto, la meccanica con la sostituzione degli impianti tecnologici e dei carrelli), l’ultimo del quale circa 5 anni fa.

Alcuni testimoni hanno anche parlato di un «eccesso di velocità». Il treno del disastro (era spinto da una locomotiva 464, la 458, prodotta da Bombardier nel sito savonese di Vado nel 2009), come le vetture che percorrono medie distanze, era in grado di viaggiare fino ai 160 km orari: è la velocità standard ormai anche per i servizi regionali e pendolari, laddove le linee lo consentono. Ma ieri, in quel tratto percorso anche da treni ad alta velocità, il convoglio partito da Cremona poteva viaggiare a 140 km orari di massima, dal momento che la vettura “semipilota” era una Vicinale 1973. Questione non da poco, che si aggiunge a quella relativa alla locomotiva in spinta: con le sue 72 tonnellate di peso, se fosse stata in testa, non avrebbe permesso al convoglio di arrestarsi prima?

Altra nota dolente, sempre messa in luce da Legambiente: «Agli investimenti regionali sono state privilegiate strade e autostrade rispetto alle ferrovie: dal 2003 al 2017 alle prime sono andati 931 milioni (il 60,1% del totale) e alle seconde 386 milioni 24,9%). E le parti sociali rinnovano il grido di preoccupazione: «Attendiamo gli esiti delle inchieste – afferma Salvatore Pellecchia, segretario generale aggiunto della Fit-Cisl –, ma non è più rinviabile un confronto a tutto campo da tenersi in tempi brevi, con i gestori delle infrastrutture e le imprese ferroviarie sul tema di una maggiore sicurezza»». Gli fa eco il segretario generale: «Chiediamo – dice Antonio Piras – al ministro dei Trasporti Graziano Delrio di convocare un tavolo generale in tempi brevissimi. Tragedie come questa non devono più ripetersi».

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