martedì 23 novembre 2021
Gian Andrea Franchi e la moglie Lorena Fornasir erano accusati di far parte di una rete di trafficanti. Il pm e il gip chiudono il caso: la solidarietà non è reato
Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi, in piedi, durante le iniziative di solidarietà per i profughi della rotta balcanica

Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi, in piedi, durante le iniziative di solidarietà per i profughi della rotta balcanica - Linea d’Ombra

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Gian Andrea Franchi e la moglie Lorena Fornasir, noti come "i samaritani di Trieste", non dovranno essere processati per la loro attività di assistenza ai profughi che superano la rotta balcanica. Su richiesta del pubblico ministero, il gip di Bologna ha archiviato il procedimento giudiziario.

Dopo le pesanti accuse a Trieste l’intera inchiesta era stata trasferita a Bologna. Lorena Fornasir, infatti, era giudice onorario, e pertanto avrebbe dovuto essere giudicata lontano dal distretto di appartenenza. Ma una volta arrivato a Bologna l’intero fascicolo è stato passato al setaccio dal giudice delle indagini preliminari, che al termine dell’esame ha deciso di non chiedere il rinvio a giudizio per i due volontari, rimandando invece a Trieste la parte riguardante altre 32 persone, tutti stranieri, sospettai di aver costruito una rete di “accoglienza a pagamento” per i profughi in arrivo dalla rotta balcanica. Persone che non risultano essere componenti del gruppo di volontari triestini.


La decisione del giudice delle indagini preliminari segue la richiesta del pubblico ministero bolognese a cui erano state affidate le indagini provenienti dal capoluogo giuliano. Archiviazione disposta “non emergendo elementi che consentano la sostenibilità dibattimentale dell’accusa”.
L’indagine, ricorda una nota del gruppo di volontari, era iniziata nel 2019 e mirava a individuare un legame tra la cosiddetta “cellula triestina” di passeur e i volontari di “Linea d’Ombra”.
“Il succo di questa vicenda - hanno commentato Franchi e Fornasir - sta appunto nel rendere ancora una volta evidente il carattere politico delle denunce nei confronti degli attivisti solidali con i migranti”.
Inizialmente era finito sotto inchiesta “nonno Andrea”, come lo chiamano affettuosamente alcuni tra i più giovani volontari a cui sembrava assurdo che l’81enne dietro all’aspetto del volontario che con la moglie ogni sera si reca da anni nella piazza antistante la stazione di Trieste per curare i piedi malandati di chi è sopravvissuto alle asperità della rotta balcanica, si celasse invece un astuto capobanda dedito al personale arricchimento grazie al traffico di esseri umani. Le perquisizioni all’alba, il sequestro dei telefono e i controlli bancari suggerivano che l’indagine andasse proprio in quella direzione. Dopo era toccata anche alla moglie Lorena Fornasir, che con il suo carrellino verde arriva con bende, scorta di farmaci, disinfettanti, lenitivi e scarpe nuove per chi non riesce quasi più a muovere un passo.
Una delle accuse riguardava l’avere ospitato per una notte una famiglia di profughi con dei figli adolescenti, rimasti senza un tetto. “L’attività investigativa – precisava una nota degli investigatori triestini al momento delle perquisizioni – è stata condotta dalla Digos di Trieste, supportata dal Servizio per il Contrasto all’estremismo e al terrorismo esterno”. Ma ora queste accuse sono decadute.
In questi anni dalle agenzie Onu alle organizzazioni umanitarie hanno seguito le attività caritatevoli di Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir, che non di rado si recano personalmente in Bosnia per consegnare aiuti e denunciare le condizioni di disagio di migranti spesso respinti con crudeltà. Molti lettori di Avvenire erano intervenuti su questa vicenda e ora arriva dai giudici il verdetto che dovrebbe mettere la parola fine, ribadendo che la solidarietà non è reato.


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