
Con i nuovi farmaci arriva una svolta per i pazienti emicranici - .
È una patologia invisibile. Neanche i più raffinati strumenti di diagnostica, Tac o Risonanze, sono in grado di rilevare l’emicrania. Eppure è la seconda malattia più disabilitante al mondo (dopo il dolore alla schiena): interessa 1 miliardo di persone (stando a quelle “censite”), di cui 6 milioni solo in Italia, con una maggiore prevalenza nelle donne (3 volte in più rispetto agli uomini). L’emicrania cronica, poi, colpisce l’1-2% della popolazione mondiale. Un dolore acuto, perdurante, fortemente invalidante. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), considera una giornata vissuta con emicrania severa invalidante quanto una giornata vissuta con demenza, tetraplegia o psicosi acuta.
Per questa malattia la ricerca medica non è mai riuscita a trovare soluzioni definitive. Almeno fino allo scorso decennio, quando è avvenuto un cambiamento epocale con l’introduzione di terapie che contrastano efficacemente gli attacchi, sia episodici sia cronici, agendo sui mediatori nervosi coinvolti nella trasmissione del dolore: tra questi si annoverano i trattamenti che contrastano il Cgrp (il peptide correlato al gene della calcitonina) che, rilasciato dai terminali del nervo trigemino, causa l’attacco emicranico. La svolta farmacologica è rappresentata da anticorpi monoclonali e, nell’ultimo periodo, da preparati appartenenti alla classe dei gepanti, ovvero piccole molecole sempre dirette contro il recettore del Cgrp e che, a differenza dei monoclonali (somministrati per via sottocutanea o endovenosa una volta al mese), devono essere assunti oralmente anche quotidianamente. Nei pazienti con almeno 5 tentativi terapeutici pregressi falliti, l’uso di un anticorpo monoclonale ha ridotto di almeno il 50% i giorni con il dolore nel 75,6% dei casi. Sono quattro gli anticorpi e due i gepanti approvati dalle agenzie regolatorie e rimborsati in Italia. Medicinali che stanno restituendo tempo, libertà, vita, a milioni di persone sofferenti.
L’ultima approvazione, risalente ad ottobre scorso, riguarda il gepante Atogepant di AbbVie; ad oggi, afferma Pierangelo Geppetti, docente emerito di Farmacologia clinica dell’Università di Firenze, «l’unico gepante rimborsato dal Servizio sanitario nazionale per il trattamento preventivo dell’emicrania negli adulti che presentano 8 o più giorni di emicrania al mese. Questi farmaci rappresentano un vero e proprio cambio di paradigma nella terapia, ora più efficace e sicura rispetto alle precedenti cure». Si tratta quasi sempre di trattamenti molto costosi per il Servizio sanitario nazionale ma anche altamente efficaci, per cui la spesa finisce per costituire un investimento redditizio, visto che il costo annuo associato all’emicrania in Europa, è stato stimato vicino ai 27 miliardi di euro. L’impatto della malattia, evidenzia Simona Sacco, professore ordinario di Neurologia all’Università dell’Aquila, «annovera costi sanitari diretti (assistenza specialistica, ospedaliera e farmaceutica), costi diretti non sanitari (relativi, ad esempio, all’acquisto di dispositivi), e indiretti (riconducibili alla perdita di produttività di paziente e caregiver)». Anche perché l’emicrania spesso si manifesta nella fascia di età tra i 25 e i 55 anni, quindi nella fase più attiva e produttiva della vita.
L’Aifa ha però stabilito che in Italia l’accesso ai nuovi farmaci può avvenire solo quando si hanno almeno quattro crisi al mese, e soltanto dopo aver eseguito tre trattamenti preventivi tradizionali. L’auspicio del direttore dell’Istituto di neurologia clinica dell’Università di Brescia e presidente della Società italiana di neurologia, Alessandro Padovani, però, è che in futuro, sia negli ambulatori specialistici dedicati sia nei centri nazionali ad alta specializzazione riconosciuti, «si arrivi ad offrire tutti i trattamenti mirati oggi disponibili, tra cui Atogepant, che andrebbe considerato di prima linea per la prevenzione dell’emicrania, senza dover attendere un precedente fallimento di altre classi di farmaci aspecifiche». Il che si traduce, in molti casi, per i pazienti cronici, in una sofferenza prolungata ancora per anni.
«Anche l’ultimo gepante approvato rappresenta una opzione che si è rivelata efficace. I dati che provengono dalle sperimentazioni cliniche ci dicono che, negli studi a lungo termine in aperto, quasi la metà delle persone con emicrania episodica ha ottenuto la totale libertà dalla malattia, nell’ultimo mese di trattamento, ad un anno di terapia, il che ha sorpreso anche noi», osserva Cristina Tassorelli, ordinario di Neurologia all’Università di Pavia e direttore dell’Headache Science Center dell’Istituto Neurologico Mondino di Pavia. «Tra anticorpi monoclonali e gepanti cambiano solo le vie di somministrazione e i tempi di durata – aggiunge ad Avvenire –. Pur con meccanismi d’azione che differiscono, tutti hanno un’alta efficacia anche se c’è ancora una percentuale minima di pazienti che non risponde. Con le terapie tradizionali, noi facciamo cicli di 4-5 mesi prima di vedere i pazienti che, per diverse ragioni (effetti collaterali o altro), abbandonano il trattamento. Il contrario di ciò che avviene con i nuovi medicinali». Di cui tanti malati ignorano l’esistenza. Alcuni di loro non hanno mai ricevuto una diagnosi. «L’emicrania – riprende Tassorelli – resta una patologia sommersa: perché chi ne soffre pensa di autogestirsi o perché il medico di base è difficilmente accessibile o ancora perché, quando lo è, può capitare che non dia al problema l’importanza dovuta: si calcola che una buona percentuale di soggetti che soffre di emicrania in realtà ridimensiona il tutto con la solita frase “ho solo un mal di testa”; ma il mal di testa non è una diagnosi, è una definizione popolare di un disturbo ma non qualifica una malattia, mentre l’emicrania è una malattia vera e propria. E nel percorso che va dall’individuazione di una diagnosi ad una corretta terapia, tante persone si perdono».
Il soggetto emicranico è quasi sempre obbligato a non poche rinunce. Nella sua vita dormire bene o male diventa un elemento fondamentale: «Ci sono delle indicazioni per l’igiene del sonno – dice Tassorelli –, che vanno dall’evitare banalmente l’uso del caffè la sera, piuttosto che mantenere dei ritmi di vita regolari, perché dormire un giorno quattro ore e l’altro 12, in genere rompe dei ritmi. E noi, proprio come dei musicisti, abbiamo vari ritmi da rispettare. Il sonno è uno di questi. Occorre dormire per una quantità di ore sufficiente, anche se ognuno ha necessità diverse; ci sono persone che stanno bene dormendo 4 ore, altre che necessitano di risposare il doppio. In alcuni casi, quando l’insonnia diventa un problema serio, può essere importante un aiuto farmacologico. L’emicranico di solito è una persona molto sensibile, ci tiene a fare bene nell’ambito lavorativo, accumula tensioni, e con una certa frequenza è anche un digrignatore, e questa caratteristica si sviluppa di più di notte, molti di loro si svegliano con la mandibola un po’ indolenzita; non è questa la causa dell’emicrania ma la può peggiorare, ed è utile che il neurologo esplori questa caratteristica».
Sul futuro della ricerca, Tassorelli regala ben più di una speranza: «Ci sono oggi vari altri principi attivi in corso di valutazione. In fase molto avanzata, per esempio, c’è un altro anticorpo monoclonale, che ha già dimostrato di essere efficace in uno studio e che è da validare in un numero di pazienti più esteso. Così come sono in sperimentazione altri target che vanno a bloccare quella cascata di eventi che causa il dolore soprattutto in pazienti dipendenti da un altro sistema di neurotrasmissione. Se si riuscisse ad intercettarlo in modo definitivo, la remissione della malattia diventerebbe un obiettivo reale più che possibile».