venerdì 23 novembre 2012
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​Più famiglia e meno comunità. In Italia i bambini allontanati temporaneamente dai loro genitori vengono accolti principalmente nelle case di 14mila coppie affidatarie, circa 4mila in più rispetto a dieci anni fa. Una scelta, quella dell’affido familiare, cresciuta dal 1999 del 42% e che ha fatto rimanere sostanzialmente costante la presenza dei minori in strutture socio-educative. A salire, tuttavia, è il numero dei bimbi in affido: sfiora in totale i 30mila al 31 dicembre 2010, 7mila in più rispetto al decennio precedente (+24%). In sostanza, tre ogni mille coetanei. La buona notizia, comunque, è che un terzo di loro alla fine torna nella famiglia d’origine con cui non ha mai interrotto i rapporti (74%). Anzi, quasi la metà dei 14mila minori in strutture di accoglienza trascorrono il weekend con i propri genitori e 6 su dieci degli ospitati in nuove famiglie incontrano mamma e papà praticamente ogni settimana. Sfatato il mito dell’affidamento come conseguenza obbligata per "genitori inadeguati" senza possibilità di miglioramento, l’indagine promossa dal ministero delle Politiche sociali e realizzata dal Centro nazionale di documentazione per l’infanzia diventa il fondamento per mettere a sistema le buone pratiche diffuse sul territorio, con nuove linee di indirizzo per l’accoglienza. «Ci sono tanti ottimi progetti, ricchissimi soprattutto nel Terzo settore», esordisce il sottosegretario al Welfare Maria Cecilia Guerra, che spesso si concludono insieme ai finanziamenti. Questo "sussidiario" per gli operatori, mette in rete tutti, «colma un gap informativo in materia - continua - ci aiuta a capire come far interagire famiglie originarie e affidatarie, comunità e territorio che se ne prendono cura». Ogni bambino ha una storia a sé, per questo una cornice di esperienze non va a sostituire il progetto individualizzato (presente nell’86% dei casi) che ascolti i più piccoli e metta in campo un sostegno specifico per gli adulti di casa (74%). Le mamme e i papà biologici, infatti sono considerati inadatti al loro ruolo per motivi economici o per carenze abitative, più che affettive (37%), per problemi di dipendenza da droghe (9%), per complicanze nelle relazioni familiari (8%) o per maltrattamenti (7%). Sono pochissimi, intorno all’1%, gli orfani e poco più quelli in stato di abbandono (4%). Ecco perché la sfida è mettere la famiglia del bambino con tutte le sue relazioni, non solo il minore, al centro dell’intervento. «Se nella metà dei casi i minori vengono allontanati perché c’è una carenza genitoriale – sottolinea Paola Milani dell’Università di Padova, tra gli autori delle linee guida – allora è necessario un percorso per permettere ai genitori di riappropriarsi della loro competenza educativa».L’aumento dei minori "fuori famiglia" è dovuto anche alla crescente quota di stranieri, raddoppiati in dieci anni (dal 10 si è passati al 22%), presenti soprattutto nelle comunità (4mila su 14mila). Emilia-Romagna, Toscana, Provincia di Trento, Veneto e Marche, sono in cima alla lista delle regioni che hanno percentuali superiori alla media, anche vicine al 30%. I numeri sugli istituti di accoglienza, poi, mettono in evidenza le criticità dell’ingranaggio; accanto a bambini che sono in istituto da pochi giorni, il 26% invece vive in comunità da oltre 48 mesi, il 22% da almeno due anni, altrettanti quelli che arrivano a 12 mesi. Appena uno su dieci resta in casa-famiglia per meno di tre mesi e in più, sottolinea il coordinatore dell’indagine Valerio Bellotti, «ancora il 28% di minori sotto i due anni si trovano in comunità dove non dovrebbero stare, perché la legge prevede per i bambini sotto i sei anni di ricorrere prevalentemente all’affido».
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