venerdì 13 luglio 2018
Segnali confusi dal governo: il premier resta presidente della Commissione (Cai) ma le deleghe sono andate al ministro della Famiglia. Gli enti: ma cosa significa? Intanto i problemi rimangono
Foto dall'archivio Fotogramma

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Nuovo governo, nuova politica anche per le adozioni? Chi può dirlo? Dopo un mese e mezzo, la nuova maggioranza ha affrontato il tema solo per ribadire una legge esistente e per aggiungere una 'postilla' che sembra pensata per fare confusione.

Il decreto comparso l’altro giorno in Gazzetta Ufficiale conferma che al vertice della Commissione adozioni internazionali (Cai) rimane il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. E questo è proprio quanto previsto dalla legge. Peccato che nello stesso documento si aggiunga che il ministro per la famiglia e le disabilità (Lorenzo Fontana), «è delegato ad esercitare funzioni di indirizzo, di coordinamento e di promozione di iniziative in materia di adozioni di minori italiani e stranieri».

Ma come è possibile? Che significato attribuire a deleghe, comunque vaghe, che si sovrappongono o si affiancano a una presidenza peraltro confermata? Gli enti hanno chiesto conto di questo inedito duopolio. Tra gli altri Marco Griffini, presidente di Aibi, ha fatto notare il rischio sovrapposizione: «Chi avrà in mano, di fatto, la regia delle operazioni e il controllo delle attività della Cai, Fontana o Conte? Non vorremmo dover rivivere neppure in parte il calvario patito negli ultimi cinque anni – ha dichiarato Griffini – con l’assenza di un presidente politico della Commissione che creda davvero nella bellezza possibile della scelta adottiva, e sia perciò in grado di fornire da subito una spinta propulsiva all’intero sistema».

Da un anno a questa parte il rischio è stato scongiurato grazie all’impegno di Laura Laera, già presidente del Tribunale dei minorenni di Firenze, nominata nel maggio 2017 alla vicepresidenza della Commissione. Di fatto il vertice operativo del nostro sistema delle adozioni. Dopo oltre tre anni di paralisi – assenza di riunioni, situazione ammini-strativa confusa, contatti con gli enti e con le famiglie sospesi, funzionari e dirigenti non rinnovati – Laera ha rimesso in piedi la struttura, ha preso in esame le istanze pendenti (oltre 150), ha stabilito nuovi contatti internazionali, ha concluso una convenzione con la Guardia di finanza per la verifica delle attività economiche degli enti, ha riaperto il canale dei rimborsi alle famiglie, ha attivato il fascicolo via web per 'l’adozione trasparente'. E dal settembre 2017 la Cai si riunisce in media ogni due mesi.

Ma non basta ancora. Serve al più presto un momento di verifica collettiva che mette intorno allo stesso tavolo addetti ai lavori, enti, famiglie, esperti. Obiettivo quello di ridare significato e prospettive a un sistema che, dopo il crollo delle adozioni e in un mutato quadro internazionale, non potrà più essere come quello di prima ma non potrà neppure essere condannato all’insignificanza. Anche perché, al di là della situazione italiana, dai bambini senza famiglia si leva ancora a livello mondiale un grido d’aiuto di dimensioni vastissime.

Secondo i dati dell’International Social Service sarebbero quasi tre milioni i minorenni costretti a vivere negli istituti e addirittura 140 milioni (dati Unicef) i bambini senza genitori. Qual è stata la risposta delle società del benessere a questo bisogno quasi infinito? Nel 2016, ultimo dato disponibile, sono stati adottati in tutto il mondo solo 11mila bambini, di cui oltre 5mila negli Stati Uniti e 1.872 in Italia. Pochi, certo, ma bisogna considerare che negli ultimi dieci anni il crollo della adozioni è stato del 75 per cento. Evidente allora l’urgenza di ripensare il sistema degli aiuti. «Ho pensato di organizzare il prossimo 19 ottobre un convegno sulla sostenibilità del sistema adozioni internazionali, anche alla luce dell’esigenza di trovare nuovi strumenti per l’accoglienza dei minori stranieri in stato di abbandono».

La bozza del convegno è stata consegnata proprio ieri alla segreteria della presidenza del Consiglio. Nei prossimi giorni l’annuncio ufficiale. «In questo quadro profondamente mutato – riprende Laura Laera – è evidente che il sistema delle adozioni da solo non può reggere l’impatto. Per andare incontro alle esigenze dei Paesi di provenienza occorre avviare piani di cooperazione internazionali e, allo stesso tempo, coordinare in modo più efficace i nostri interventi. Bisogna altresì pensare a nuovi strumenti di accoglienza da affiancare all’adozione internazionale. Anche le nostre famiglie sono cambiate e da vari Paesi di provenienza arrivano quasi unicamente bambini special needs. Occorre accompagnare diversamente i genitori adottivi con un’attenzione più costante al post-adozione». Un quadro complesso insomma, con tanti problemi che si intrecciano e che esigono una chiarezza di intenzioni anche da parte della politica. Il tempo perso è già stato tanto. Vietato indugiare ancora.

I dati

Al primo posto l’Etiopia con 33.292 beneficiari, poi nell’ordine: Cambogia (22.011), India (18.483), Burkina Faso (8.630), Costa d’Avorio (7.237), Italia (5.067), Tailandia (4.374), Vietnam (1.673), Nepal (509), Afghanistan (300), Colombia (16) e Cina (4). Un totale di 101.596 individui, di cui 34.514 bambini, beneficiari dei servizi offerti nel 2017 da Ciai (Centro Italiano Aiuti all’Infanzia) che quest’anno festeggia il 50° anniversario dalla sua costituzione. Sono alcuni dei dati più significativi presentati ieri a Milano in occasione della presentazione ufficiale del bilancio di impatto sociale Ciai 2017, che assume in questa importante ricorrenza un valore ancora maggiore, perché è soprattutto un bilancio di mezzo secolo di impegno concreto. Dal 1968 infatti Ciai svolge le proprie attività in 25 Paesi del mondo, garantendo protezione, inclusione sociale e benessere a un milione di persone, di cui la metà bambini. Fra questi, anche i 3.115 che hanno trovato una famiglia in Italia attraverso l’adozione internazionale. «In questi primi 50 anni di attività – osserva Paola Crestani, presidente Ciai – non abbiamo mai avuto timore di cambiare per riuscire a fare meglio il nostro lavoro ma siamo sempre stati fedeli ai nostri valori. Crediamo che la diversità sia una ricchezza per tutti e che l’accoglienza sia un valore fondamentale, sempre».

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