«Ogni notte rivivo il sequestro di Sofia. Mi hanno dato della mamma distratta»
Per la prima volta da gennaio, quando la neonata è stata rapita e poi subito ritrovata a Cosenza, parla la madre Valeria: «Vi racconto com’è vivere con la paura». Domani la prima udienza

Gioca nella cameretta con suo fratello Alessandro, la piccola Sofia. Ha 7 mesi, è una bambina vispa, solare, sta bene. E non sa – chissà per quanti anni non lo saprà – che la sua storia ha tenuto l’Italia col fiato sospeso, che migliaia di mamme dopo averla sentita si sono sprofondate nell’angoscia, migliaia hanno deciso di contattare la sua per stringersi attorno all’odissea che ha vissuto e condividerla. A un certo punto lei, che si chiama Valeria e ha 29 anni, ha dovuto chiedere di smettere. Lo ha fatto con un messaggio delicato, scritto sulle bacheche dei suoi profili social: «Abbiamo rilasciato le nostre ultime interviste, ora abbiamo bisogno di voltare pagina. Grazie a tutti».
La pagina da voltare è stata scritta la sera del 21 gennaio scorso, quando Sofia, appena nata nella clinica Sacro Cuore di Cosenza, è finita tra le braccia di una puericultrice che puericultrice non era, Rosa, ed è stata incredibilmente portata via dalla camera di Valeria, dal reparto, dall’edificio, fino ad essere caricata su una macchina che l’ha condotta in una casa fuori città, in una culla approntata per un maschietto e in una famiglia che non era la sua.
Il rapimento, per fortuna, è lampo: le forze dell’ordine ricostruiscono a stretto giro l’accaduto tramite le immagini delle telecamere di un negozio, si mettono sulle tracce di Rosa, recuperano la piccola e la rimettono tra le braccia di mamma Valeria e papà Federico, ormai disperati, qualche ora dopo: «È stato come morire e risorgere» le loro prime parole. Attorno alla famiglia si stringe tutta la città, le istituzioni, a Valeria scrive persino la premier Giorgia Meloni. Poi il desiderio di tornare alla normalità, i giornalisti allontanati grazie alla paziente mediazione dell’avvocata Chiara Penna, nell’attesa di un processo che deve ancora chiarire molto dell’accaduto.
Ma come si ricomincia a vivere, dopo una ferita così grande? «Con un’idea di mondo diversa, moltissime paure, ma anche maggiori consapevolezze – racconta proprio mamma Valeria nella sua prima intervista da allora, che ha deciso di rilasciare ad Avvenire –. Ad oggi stiamo lavorando su noi stessi per trasmettere tranquillità a tutti e due i nostri figli. La notte è la parte più brutta della giornata per me: ho ancora incubi e insonnia, sono angosciata dal fatto che posso succedere di nuovo qualcosa di brutto. Credo che questo rimarrà ogni giorno con noi, a lungo».

A fine settembre è stata fissata la prima udienza, la difesa ha chiesto una perizia psichiatrica su Rosa Vespa. Ma andrà appurato anche quale ruolo abbia avuto suo marito Aqua Moses, che ha sempre sostenuto di essere estraneo alla vicenda: la donna, nel racconto di quest’ultimo, avrebbe finto la gravidanza e persino il ricovero nella clinica per il parto, quello stesso giorno. Anche l’ospedale è finito sotto indagine per la gestione della sicurezza dei protocolli di accesso alla struttura: «Noi arriviamo a questo processo pieni di ansia, ma anche col desiderio che venga fatta chiarezza su quello che è accaduto quel giorno e su chi ne sia responsabile»: Valeria è stata infatti più o meno velatamente accusata di essersi «distratta», di aver perso troppo «ingenuamente» il controllo della sua bambina, di averla affidata «con leggerezza» alla puericultrice. Ancora, il suo dramma è stato sminuito, «che sarà successo mai? Tua figlia dopo due ore è stata ritrovata» si è sentita ripetere quando ha spiegato il suo malessere. «Parole che hanno fatto male, così come ci fa male a volte essere chiamati “i genitori della bimba rapita”. Noi vorremmo solo riavere una vita normale, soprattutto per il piccolo Alessandro: lui ha sofferto moltissimo questa situazione».
Per fortuna c’è il calore della comunità di Cosenza: «Io sono tanto grata di farne parte – spiega ancora Valeria, che in città s’è trasferita da Pavia col suo Federico, fidanzati d ragazzini, poi sposi e genitori giovanissimi –. In questi 9 anni ho incontrato persone sempre pronte a porgermi la mano. I calabresi hanno un cuore grande e quel 21 gennaio ne è stata la prova. Nonostante siano passati mesi non ci hanno mai lasciati soli, siamo circondati da calore e soprattutto solidarietà. Ricordo uno a uno anche i nomi e i volti degli agenti che hanno cercato e ritrovato Sofia, per poi riconsegnarmela in ospedale». Di Rosa, la donna che voleva essere madre al posto suo, non vuole parlare: «A tutte le mamme però voglio dire di non sentirsi mai sbagliate. Mettere al mondo un figlio comporta una grandissima responsabilità. Sapere che ogni scelta sarà la conseguenza del suo futuro non è sempre facile, soprattutto al giorno d’oggi. A volte la stanchezza fa venire sensi di colpa, la paura di non aver fatto abbastanza o anche di sbagliare: io ho sperimentato tutte queste cose nel dramma che ho vissuto. Ecco allora cosa voglio dire: seguite il vostro istinto materno e amate incondizionatamente i vostri figli, che sono un dono, la parte più bella di noi». Ci sarà tempo, per decidere se e quando raccontare a Sofia di come sia nata e rinata, nello stesso giorno: «Ci sarà tempo anche per decidere se impegnarci a fare qualcosa per le famiglie che vivono un dramma come il nostro. Ora ricominciamo semplicemente a vivere, tutti e quattro insieme, cercando di guardare avanti».
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